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Paolo Tonini, Io viaggio solo con Munari, 2008; e-collage, copertina del catalogo: L’Arengario S.B., Un libro al mese. Le copertine di Bruno Munari per la collana “Un Libro al Mese” del Club degli Editori, 2008
http://www.arengario.it/homepage/_hp-pdf/collezione-munari-cde.pdf

Un libro al mese una copertina al mese. Per la collana che nata nel 1960 proponeva ristampe di libri da poco pubblicati, in una veste tipografica attraente a costi contenuti. Erano tutti rilegati in tela e dal 1960 al 1966 le sovraccopertine furono illustrate da Bruno Munari.

Scorrendole una dopo l’altra si compie un viaggio nella grafica degli anni Sessanta e nella fantasia perché i titoli dei libri sono anche le chiavi di quelle opere d’arte quasi tutte in formato 21×27 cm. Si era alla vigilia del boom economico. Quei libri corrispondevano alle esigenze di chi non potendo permettersi edizioni lussuose poteva però aspirare a un minimo di decoro. Con quei libri i borghesi piccoli piccoli si portavano in casa una ricchezza d’arte che ai ricchi era ignota, rigorosamente offuscata da stupende edizioni di classici in carta india e illustrazioni perfettamente stampate di capolavori dei secoli passati. Grande Bruno Munari che hai portato la modernità con la sua bellezza nelle case di tanta gente e non importa se qualcuno non se n’è accorto, non importa nemmeno se non se n’è accorto nessuno. Il tuo lavoro ha riempito le case e la vita quotidiana di segni, simboli, invenzioni e una parte del nostro immaginario porta più che la firma il tuo marchio di garanzia. Metto una accanto all’altra quelle copertine e il viaggio comincia ogni volta nuovo e diverso.

munari-club-1I primi dodici volumi, illustrati solo al piatto, recano tutti un quadrato inclinato di 45°: è uno dei tuoi stilemi, quanti giochi si fanno col quadrato, una figura perfetta – ed è incredibile scoprire che è possibile manipolare la perfezione, noi così lontani. Ci sono gli ultimi vagiti dell’astrattismo geometrico iridescenze di Balla tratti di Kandinsky l’informale, ma fra tutti è folgorante il n. 4 (Buck, Uomini di Dio, 1961) un labirinto che anticipa la poesia visuale della seconda metà degli anni Sessanta. Poi il n. 8 (Knowles, La febbre dell’oro nero, 1961): si intravedono le strutture dei piloni petroliferi ma anche industriali e postindustriali che ritroverò fra l’altro nella Nebbia di Milano, tuo libro oggetto del 1968. Qui cominciano le suggestioni visive e l’abbandono del puro astratto. Nel n. 9 compaiono le mani più vuote dell’universo (Strati, Mani vuote, 1961), nel n. 10 l’impronta che angoscia il detective (Mathieson, Quando il genio indaga, 1961). E siamo al n. 13 (Andersh, La rossa, 1961): d’ora in poi illustrerai fronte, dorso e retro, in un’unica composizione che passa da 21×13,5 a 21×27 cm. Munari è uno che lavora. Di che parla questo libro? Non lo so non l’ho letto. Ma quei due segni sullo sfondo di un meraviglioso azzurro mi ricordano la dissacrazione di Duchamp o meglio la consacrazione sua della schiena bellissima di una donna.

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Il 16 invece l’ho letto, è Andrich, Il ponte sulla Drina, 1961: sullo sfondo rosso di sangue da una parte il ponte, dall’altra la croce e la mezzaluna vicine a precisare che non i musulmani e i cristiani erano divisi ma il ponte, l’artificiale congiungimento stava loro contro.

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Saturno risplende melancolico e raddoppiato in positivo/negativo su uno sfondo modulato ancora d’azzurro (n. 19, Priestley, Saturno sopra le acque, 1962), mentre svetta l’albero spoglio in un cielo verde del n. 23 (Tobino, Il clandestino, 1962). La figurazione diviene predominante.

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La copertina del n. 26 (Soldati, Storie di Spettri, 1962) pare attraversata da una abrasione come fosse un difetto e infatti l’ho controllata bene per lamentarmene con chi mi aveva venduto il libro. Invece è un brivido, un effetto illusionistico: in quell’offuscamento tanto palpabile c’è la raggelante presenza dei fantasmi in tutta la loro concretezza e pericolosità.

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Altrettanto inquietante occhieggia un cannone nero su fondo giallo al n. 34 (Pratolini, La costanza della ragione, (1963), mentre i grattacieli di New York s’innalzano in puntini arancioni sul nero smog al n. 38 (Kazan, America America, 1963).

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Il n. 44 (Yutang, Peonia rossa, 1964) racchiude Yin e Yang (maschile e femminile) in una lanterna. Questo libro parla certamente di un amore ma l’uccellino che pare attendere sul trespolo mi ricorda i libri che hai inventati per tuo figlio nel 1945/46 e pubblicati da Mondadori.

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Altro impatto ha il n. 48 (Aiken, La vita non è un racconto, 1964) un collage che assimilo a una pittura di Gianni Bertini e non saprei darne ragione se non per la ruota di motocicletta visibile in basso al centro.

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Chaplin compare da giovane e da vecchio nel n. 50 (Chaplin, La mia autobiografia, 1964) l’unico che differisce dagli altri per il formato: 21×26 cm. anziché 21×13,5. Ci ritrovo una atmosfera dell’avanguardia anni Trenta, Bauhaus, Teige, Paladini, con quei listoni neri e verdone ma anche, per la loro disposizione nello spazio, una inquietante presenza della contemporaneità.

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E’ me che fissano i due occhi gialli e tondi dal fondo della notte marina del n. 51 (Remarque, La notte di Lisbona, 1964) e non i due uomini che siedono sulla linea di demarcazione del titolo.

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E l’esserino rosso nell’ampolla del n. 59 (Stuart, Il germe di Satana, 1965) è me che guarda con ansietà consapevole di non poter scegliere e di dover crescere preoccupato dal fatto che io sia tanto più grande e non abbia né corna né coda appuntita.

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Un universo di esattezza e precisione si apre improvviso al n. 63 (Snow, Gli uomini nuovi, 1965), mentre il profilo inquietante di uno gnomo o di un essere antico e terribile si trova al n. 68 (Arpino, Un’anima piena – La straniera, 1966). Nemmeno questo l’ho letto, che ci fa lo scarabocchio rosso dietro la testa dello gnomo? Arpino era psichiatra, deve esserci qui dissimulata una follia.

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Arrivo al n. 73 (Hailey, Hotel, 1966) e mi fermo: quei neri piloni che mi separano dalla vita senza dubbio intensa e piena di imprevisti dell’hotel, in realtà mi invitano a spiare. Quanto daremmo per entrare in punta di piedi nella vita degli altri e scoprire cosa veramente pensano di noi. Potrei ricominciare e sarebbe un altro viaggio. Lo può fare chiunque, è un gioco di Munari.

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This Post Has 3 Comments

  1. Anonymous

    sono bellissime ! io le colleziono (me ne mancano poche ormai) e ho comprato anche il vostro catalogo Arengario
    grazie per la passione che trasmetti
    ti seguo con piacere
    sergio

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