I metroposter di Renato Curcio e Pablo Echaurren

I metroposter di Renato Curcio e Pablo Echaurren

C’era una volta un onesto editore che stava facendo bancarotta  a causa di una bolletta telefonica... Era l’epoca dei primi numeri 999 erotici e qualcuno che stava lì non seppe resistere  alla tentazione. La bolletta arrivò implacabile ed era una cifra milionaria insostenibile (allora eran lire). L’editore riuscì a onorare il debito: un libraio antiquario pagò tutto quel che c’era da pagare ed ebbe in cambio le tavole originali dei metroposter realizzati da Renato Curcio e Pablo Echaurren, e alcune serie a stampa, da loro firmati pazientemente uno per uno a garanzia. Poster che avevano tappezzato la metropolitana di Roma tra il 1994 e il 1995, attacchinati in lunghe file da ragazze e ragazzi ed erano il reportage di uno che dopo non so quanti anni, e senza aver ammazzato nessuno, poteva uscire dal carcere a respirare l'aria della libertà. Poter ascoltare e parlare con tante persone diverse: quanto sia bello e importante può capirlo solo chi è rimasto chiuso…

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Paria: una ricerca di comunicazione

Paria: una ricerca di comunicazione

La rivista PARIA, fondata, diretta e disegnata da Antonio Rodriguez (Edolo, Brescia 1948) - o “Pariananda”, come amava firmarsi, fu pubblicata dal 1969 al 1975 in due serie distinte. La prima serie, cosiddetta “ciclosticolata” è costituita da 4 fascicoli pubblicati tra il 1969 e il maggio del 1970. Di questa ho rintracciato solo l’ultimo fascicolo, il n. 4, proveniente dalla collezione dello stesso Antonio Rodriguez e dedicato "agli studenti uccisi mentre gridavano pace, ai ragazzi arrestati, con la forza... mentre gridavano pace ed alle poesie di ragazzi che chiedono che vogliono la pace", in occasione di quello che passò alla storia col nome di “massacro di Kent”. Mi scrisse Rodriguez: “Li ho fisicamente eseguiti e stampati con la ciclostile dell’ufficio in un numero esiguo di copie, (...) distribuiti nel luganese e spediti a qualche amico. Non esistono originali o copie che io sappia”. La seconda serie, di 17 fascicoli, con sede prima a Locarno e poi a Viganello (Canton Ticino,…

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VOGLIAMO TUTTO! Arte e poesia negli anni di piombo (1967-1982)

VOGLIAMO TUTTO! Arte e poesia negli anni di piombo (1967-1982)

Dal 18 al 21 settembre si svolgerà a Bologna la Mostra del Libro Antico e noi presenteremo una collezione che illustra momenti dell'arte, della poesia e della storia sociale degli anni Settanta, raccolta nel catalogo «VOGLIAMO TUTTO! Arte e poesia negli anni di piombo (1967-1982)». Parole sui muri, 1968 Ordinando il materiale cronologicamente, quello che doveva essere un semplice catalogo si è trasformato in una storia. Questa storia comincia con una invasione, quella che avvenne  dall'8 al 18 agosto 1967 a Fiumalbo, in provincia di Modena: un centinaio di artisti d'avanguardia provenienti dall'Italia e dall'Europa animarono il piccolo paese di performances artistiche, teatrali, musicali, e i muri furono tappezzati di poesie e manifesti suscitando grande scandalo. La storia finisce fra il 19 marzo e il 14 giugno del 1982 con un'altra invasione, quella che contrappose Argentina e Regno Unito nella guerra delle Isole Falkland, a cui si riferisce «Ready for War», un volantino in cui si raccomanda, davanti alla nuova…

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Beat Generation 1944 – 1965 (dalla mia collezione)

Beat Generation 1944 – 1965 (dalla mia collezione)

Il termine «Beat Generation» l'ha coniato Jack Kerouac alla fine degli anni Quaranta. La parola «beat» ha diversi significati, è per esempio la prima parte della parola «beatitude»: "Non siamo dei bohèmiens, se ne ricordi. Beat vuol dire beatitudine, non battuto" dice Kerouac, citato da John Clellon Holmes nell'articolo «The Philosophy of the Beat Generation» (ESQUIRE vol. XLIX n. 2/291, febbraio 1958), e «Beatitude» è il titolo di una rivista beat nata nel 1959. Ma «beaten» vuol dire anche abbattuto, scoraggiato, alla deriva. «Beat» è anche battito, ritmo: poesia e musica. I «beats», o «beatniks» come verranno chiamati alla fine degli anni Cinquanta coniugando le parole «beat» e «sputnik», rinunciano al progetto di una vita dedita alla famiglia, alla produzione e al consumo, rifiutano il lavoro gli orari la fissa dimora, vivono da soli o in gruppo in qualche topaia metropolitana ma conquistano per se stessi uno spazio nuovo: la vita è nella strada - on the road - solo…

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Cultura e controcultura

Cultura e controcultura

Abbiamo approntato un catalogo di libri, giornali, foto e documenti della controcultura italiana. Li abbiamo disposti in ordine cronologico, e nel succedersi di titoli e immagini per quanto frammentari, è emersa una storia con le sue ragioni, le aspirazioni, le conquiste, gli errori. Ancora la carta stampata, che diffonde e conserva i pensieri: raramente di buona qualità, la carta, fragile e destinata a non durare come le parole di rabbia, d'amore e di rivolta che veicolava. La chiamiamo controcultura perché non ha le certezze, né i carismi estetici e morali della cultura. La chiamiamo controcultura perché, nell'essere contro, la cultura comincia a cambiare in meglio la vita, e lo fa con la bellezza delle parole, dei colori, dei gesti liberati dalle convenienze. Banalità e invenzione si mescolano nella scrittura collettiva. Scriversi addosso trasmettersi addosso perché per farlo è necessario essere vicini. Il carattere nero su bianco delle prime pagine di Potere Operaio è più forte della teoria; nelle immagini ironiche …

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