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Ignazio Scurto, L’aeroporto, Milano, La Prora, 1939.
Copertina di Barbara

Poco si sa di Ignazio Scurto (Verona 1912 – Milano 1954) del gruppo futurista veronese, che nel 1939 pubblica il vangelo degli aviatori, il romanzo che secondo Marinetti annunciava la fine della letteratura da salotto, il tramonto dell’intellettuale in pantofole: L’aeroporto (Milano, La Prora). Più famosa di lui la moglie Olga Biglieri, in arte Barbara, che ne illustra la copertina: si erano conosciuti nel 1935, nel 1939 si erano sposati e sembra evidente che Olga/Barbara sia la vera protagonista di questa storia nel personaggio di Tulliola (allusione a Tullio d’Albisola e ai suoi libri metallici?).Tulliola è la donna finalmente emancipata: ama volare perché le piace sollevarsi da terra e non certo per scimmiottare l’uomo. Determinata e sicura di sé, appassionata ed esente da civetteria sarebbe stata comunque bellissima. E così il povero Michele, giornalista e poeta incaricato di scrivere sulla vita degli aeroporti fatica un po’ a capirla. Le piace, è ovvio, ma si trova a disagio perché perfino il manuale di seduzione marinettiano qui è inutilizzabile. Quando lui si infervora nel descrivere la magia e l’ebbrezza del volo, lei lo distrugge così:

Ma non avete mai visto giù nelle aviorimesse qualche ragazzone in tuta, sporco d’olio sul volto e sulle mani? No? Date retta, guardatene qualcuno e abituatevi a considerare il volo senza l’eccitamento della storia, perché ogni signora mondana ragiona come voi quando nel proprio salotto dirige il pensiero all’aviazione… Nel momento in cui voi pensate agli eroi siete un letterato, non un dominatore di queste macchine” (pp. 48-49).

Michele capisce che deve essere semplicemente e naturalmente un uomo, che la poesia può venire solo dall’autenticità del vivere, che questa donna non si accontenta di parole e immagini. Lui sa di piacerle, perché Tulliola più o meno consapevolmente percepisce la sua fondamentale onestà e il sincero desiderio di comprendere, di sollevarsi anche lui dalla terra, e non per allontanarsene ma per ritornarci e scendere in profondità.

L’incontro con un pittore e la sua compagna, amici di Michele, la fanno molto riflettere.
Volpiana è anche lei una donna emancipata, sebbene in modo diverso. Non ama viaggiare, impegnarsi in una carriera, eccellere in qualcosa. Vuole occuparsi dei suoi bambini, perché da quando si è vista allo specchio la prima volta ha amato il proprio corpo fatto per dare la vita. Ma i bambini non si possono fare se non si è sposati, specie in una piccola città di provincia. E lei col suo amato pittore per un po’ ha fatto la brava ragazza, poi si è stufata e adesso aspetta il suo bambino, si sposeranno quando avranno i soldi necessari. Chi se ne importa delle chiacchiere.

Barbara (Olga Biglieri)

Intanto Michele prende il brevetto di volo e sia a lui che a Tulliola viene offerta una ingente sponsorizzazione per una gara aeronautica. Chi vince piglia tutto. Lei è propensa a lasciar perdere, perché volare è la sua vita, è la realizzazione di valori umani e non un mezzo per fare più soldi. Poi però pensa che a qualcuno quei soldi sarebbero serviti eccome: Volpiana. Dunque parteciperà, e infine vincerà la gara. Però Michele ancora non arriva al traguardo. E allora parte alla sua ricerca: quando lo trova con l’aereo mezzo distrutto, ferito ma salvo se lo abbraccia e bacia piangendo. Non sa che lui non voleva vincere, ma Michele non ha bisogno di dirglielo: sarà pure un intellettuale da salotto ma per lei ha rischiato la vita e non una poesia. E anche qui sembra evidente che Michele sia Ignazio.

Era insomma il romanzo di due giovani diversi, a cui non piaceva troppo il mondo com’era, lei appassionata di pittura e volo a vela fin dagli undici anni, lui poeta squattrinato e giornalista. Ma poco dopo il matrimonio scoppia la guerra e Scurto parte per il fronte, mentre Barbara rimane sola con due bambine piccole (già, probabilmente una era nata prima del matrimonio, come la bimba di Volpiana nel romanzo). Finita la guerra, Scurto ritorna e trova lavoro come giornalista per La Notte, e sarà fra i frequentatori del bar Giamaica dove stava la bohème milanese del dopoguerra. Barbara intanto scrive novelle “rosa” che permettono di arrotondare gli introiti più che non i quadri.
Ignazio Scurto muore nel 1954, e lei anziché abbattersi si darà da fare, affermandosi nel giornalismo della moda e continuando a dipingere, senza con questo dimenticare l’impegno politico contro la guerra, che aveva professato da sempre. Qualcuno ci vede una contraddizione con l’aeropittura: una cosa talmente imbecille per chi non si è dato la pena di capire bene cosa fosse mai una guerra con proprietà igieniche.

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