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James Lee Byars durante la performance The Perfect Love Letter (1974)

 

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Rino Gaetano, 1977

In comune non hanno solo il cilindro, il dandy venuto dai bassifondi della Paradise Valley e il ragazzo calabrese trapiantato a Roma. Certo, il Giappone e la storia della filosofia da una parte, il ’77 e il cielo è sempre più blu dall’altra, sembrano mondi talmente distanti. In ogni caso ci sono tonnellate di dotte interpretazioni che spiegano tutto sul perché il per come l’in quanto e tutti i reconditi significati delle loro parole opere e omissioni. Uno che scrive con un dito I- L-O-V-E -Y-O-U nell’aria all’incontrario e l’altro che ama un fratello che è figlio unico (Mario o Mariù?) secondo me hanno molto in comune. Per farla breve io credo che James Lee Byars avrebbe cantato volentieri una canzone come Mio fratello è figlio unico e che Rino Gaetano avrebbe interpretato alla grande una performance come The Perfect Love Letter.

C’è una canzone che Rino Gaetano ha scritto per sé e rimase inedita: I miei sogni d’anarchia, di cui ci è rimasta una registrazione, dove lui mescola fatuità storia politica amore e disonore, ed è come un nodo alla gola, un presentimento di morte e di felicità che prende corpo con la voce e tu vedi l’abisso che c’è nella nostra umanità sull’orlo del disastro e della beatitudine.

 

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James Lee Byars, 1969

Dall’altra parte, un po’ tutte le opere di James Lee Byars si definiscono perfette: la bellezza assoluta sottratta a ogni giudizio (fine della critica d’arte e della critica in genere). Un’opera come The perfect performance is to stand still, chiama Gustav Klimt dal mondo dei morti, rimanda a un’epoca che non ci fu mai ed è come la radice del mondo: un’antica sapienza e niente di quel che comunemente chiamiamo umano. Il silenzio, l’assenza, la quiete, un’eterno presente. Si era invaghito della cultura giapponese e studiava la filosofia occidentale secondo una prospettiva che veniva dall’eresia taoista: quanto in comune hanno Hegel e Lao-Tse? Ma questo che c’entra con Rino Gaetano, Gianna, Aida, e anche il gurù che ci manda in paranoia predicando a testa in giù?

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James Lee Byars, The perfect performance is to stand still, 1976

E’ che Rino Gaetano la bellezza andava a cercarla un po’ all’indietro nel mondo oscuro e contadino del sud e un po’ in avanti dove avrebbe dovuto andare la generazione di sottoproletari che volevano scalare il cielo. A dirlo così sembrano cazzate ma è inutile spiegare: si arrangi chi vuole a trovare i riferimenti culturali del caso. Ma per capire basterebbe vivere con meno disattenzione.

E in ogni caso quel cilindro che distingue i gran signori piaceva a entrambi. Gran signori e scialacquatori di bellezza, in un mondo in cui solo conta quel che è utile. Produttore di oggetti e gesti uno, l’altro di suoni e parole che non servono e mai serviranno a nessuno, voli di colombe dal fondo di un cilindro.

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James Lee Byars, The Cube Book, 1983