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Gaznevada, musicassetta originale, Bologna, Harpo’s Music, 1979


La storia comincia a Bologna durante il convegno contro la repressione del settembre 1977, quando un gruppo denominato Centro d’Urlo Metropolitano pubblica per l’occasione su una cassetta collettiva la canzone Mamma dammi la benza. Ma tutto era nato alla fine del 1976 nella casa occupata di via Clavature al numero 20: la Traumfabrik, come la battezzò Filippo Scozzari il fumettaro. Una casa che i sogni li fabbricava davvero, dove si davano appuntamento disegnatori, musicisti, fotografi, video maker, in una miscela esplosiva di politica arte stili di vita alternativi.

gaznevada-cassetta-04Alessandro Raffini (Sandy Banana poi Billy Blade) suona il sax, Gianpietro Huber (Johnny Tramonta poi Hal Capra) il basso, Marco Dondini (Bat Matic) la batteria, Giorgio Lavagna (Andy Droid poi Andrew Nevada) è il cantante solista, Ciro Pagano (E. Robert Squibb) alla chitarra e Gianluca Galliani (Nico Gamma) alle tastiere. I primi a criticarli sono i compagni della sinistra sia istituzionale che non, perché i compagni non possono vestirsi da fascisti, non possono suonare per suonare, ridere ed essere fini a se stessi, ci vuole una causa il popolo il partito la mamma il porco di Dio.
Il nome del gruppo lo cambiano due mesi dopo, nel novembre del 1977, ispirandosi al titolo di un racconto di Raymond Chandler, Nevada Gas, durante un viaggio a Londra di Dondini, Galliani, Lavagna e altri sballati della Traumfabrik.
Il clima è ben descritto in questa intervista agli Skiantos:

“- Freak Antoni: «Noi suonavamo male, questo sì. Però, dato che ci piaceva suonare, abbiamo cominciato a teorizzare che suonare bene non è tanto importante, e quel che conta è godersela, senza problemi di tecnica o di studio. E allora facevamo queste cose sbagliate, tutte fuori tempo, senza tecnica, ma divertenti. Giullareschi. E così ci siamo immaginati un vero gruppo di scarafoni, di gente che andasse lì, a pestare sulla batteria, a pestare sulle chitarre, sempre con quest’ottica di pestare senza inibizioni; che si presentasse sul palco dicendo al pubblico: noi siamo cialtroni quanto voi, anzi molto più cialtroni di voi; quello che noi sappiamo fare sapete farlo anche voi. Se non volete farlo, e volete stare di sotto a sentire, sono fatti vostri: noi andiamo avanti».
Jimmy Bellafronte: «È una cosa importante, ci faceva godere l’idea di tirare nel nostro casino un pubblico ufficiale, quindicimila persone. Quelli che vanno a vedere Emerson Lake & Palmer, Guccini, per dire, e che si trovino di fronte questo sconvolgimento totale: secondo noi non potevano fare a meno di sentire il fascino della cosa. »

Freak Antoni: «Tutto quello che facciamo è preparare una scaletta dei testi. Di solito noi scriviamo prima il testo, e poi ci imbastiamo su una musica; in qualche modo ce l’impariamo, poi quando andiamo sul palco, succede quel che succede. Dipende dalla serata, dal pubblico, dall’occasione…

gaznevada-cassetta-01Leo Tormento Pestoduro: «Comunque, gli Skiantos si sono fatti notare perché facevano casino, perché erano pazzeschi, perché erano imbecilli, perché erano tutto. Il discorso degli Skiantos, dopo tutto, è un discorso di spettacolo più che di musica. In origine questo non era nelle intenzioni, forse, però da quando ci sono entrato io, dopo i concerti di S. Donato, è stato così. Erano concerti importanti: la baracca, il casino, la voglia di esplodere, tutto questo nasceva in un contesto politico, di ironia, di sarcasmo che era saltato fuori. E di qui nascono gli Skiantos. Poi il discorso si è trasformato, quando siamo diventati più famosi, quando i mass media si sono impadroniti di noi, gli Skiantos sono diventati spettacolo e lo sono ancora. Adesso penso che faremo saltare fuori anche la musica. Una volta il discorso era quello della demenzialità pura, e quindi quello del casino. Adesso credo sia cambiato e abbiamo più voglia di uscire con la musica. Sappiamo però che siamo dei cialtroni, cioè che ci sono migliaia di altri gruppi con cui non possiamo competere. Ma non è una questione di tecnica, è una questione di feeling: quando Roberto suona la batteria, si vede che è un cialtrone, è allucinante, non ha la minima tecnica, ma si vede anche che è dentro questo viaggio».

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Freak Antoni: «Noi gli Skiantos li abbiamo sempre pensati con una immaginazione da bambini: i bambini dicono sempre ‘facciamo come se…’. Gli Skiantos fanno così, prendono un copione risaputo, che è quello del concerto rock, e lo incialtroniscono… Così è nata anche questa nostra fantasia di diventare ricchi e famosi, che era sempre un modo di giocare, da bimbi… Adesso vorrei farti una dichiarazione come Skiantos. Vorrei dirti che noi, o almeno io, non sappiamo in chi riconoscerci. Patti Smith, per esempio, mi sembra allucinante. Io ho avuto una grande emozione per il reggae, almeno come ritmo, ma tutta l’ideologia del legalize marihuana mi trova estraneo. Loro riscoprono se stessi, mentre noi di noi stessi ne abbiamo già abbastanza. Mi sento diverso, più cattivo, più metropolitano: per me Hailé Selassié è un cialtrone, e non la reincarnazione di Jah, come dicono loro. Per me il fatto che Patti Smith riscopra Rimbaud è un’operazione. Non me ne frega niente che lei sia una poetessa, non mi interessa che diventi una santa. Sento il bisogno che succeda qualcosa in cui possa riconoscermi» (intervista tratta da Paolo Bertrando, Bologna Rock, Milano, Edizioni re Nudo, 1980; pp. 32-37).

Questa storia si potrebbe chiudere col 2 aprile 1979, quando i Gaznevada parteciparono al Bologna Rock, il festival che al Palasport vedeva sul palco i migliori gruppi punk rock e new wave bolognesi e non. Quello che venne dopo fu un’altra cosa, diversa come diversi furono gli anni che seguirono.

Ma meno di un mese prima del festival Oderso Rubini, che aveva registrato in precedenza una serie di brani suonati diverse volte dal vivo, produce il primo vero album dei Gaznevada, pubblicandolo su cassetta per la sua neonata Harpo’s Bazar, che poi divenne Italian Records: la storia bolognese i suoni sporchi la demenza l’invenzione e l’insolenza (mamma dammi la benza) stanno tutte lì dentro.

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Conservate e insieme nascoste, precluse a orecchie profane e a chi non ha memoria. Perché oggi non esistono più i mangianastri, nessuno può ascoltare musicassette: è il reperto di un’epoca salvato dai bidoni della spazzatura.

Ecco la versione originale di Mamma dammi la benza quella che sta nella cassetta e negli anni dopo non si sentì più così com’era:

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