In occasione della mostra «Libri antichi e rari a Milano», al Palazzo della Borsa in piazza Affari, 27-29 marzo 2015, pubblicheremo il catalogo: Agnus Dei. Corpo e sacrificio nella società dei consumi.

Lea Vergine
Il corpo come linguaggio
1974

Quei favolosi anni Sessanta del boom economico, quando la felicità si comprava a rate. Per la prima volta nella storia la grande massa dei produttori poteva soddisfare bisogni non più legati alla necessità di sopravvivere. Nasceva la società dei consumi e con essa l’uomo medio, l’uomo della strada: a lui si rivolgevano la pubblicità e le ricerche sociologiche, per sondarne i più segreti desideri e crearne di nuovi. Un uomo senza cultura e senza memoria, protagonista di quella mutazione antropologica che per Pasolini costituiva un processo irreversibile. Una mutazione che si fondava prima di tutto sulla rimozione del corpo.

Se c’è una realtà di cui non puoi dubitare quella è il tuo corpo, lì dove si incidono il tempo e le vicissitudini della vita, in cui scorre insieme al sangue l’energia sessuale; i colori che cambiano, le malattie, il piacere delle carezze, lo splendore delle lacrime e dei sorrisi, degli abbracci, delle mani tese, dei pugni; il corpo, le cui secrezioni ed escrementi, la cui stessa decomposizione, hanno significato e valore. E così ci furono artisti che fecero del proprio corpo l’opera, la galleria, l’installazione, o furono essi stessi i protagonisti di azioni scandalose che mettevano a dura prova la pubblica opinione. Quegli artisti testimoniavano nella loro persona, sulla propria pelle, che il corpo non era e non sarebbe stato mai un oggetto d’uso ma l’unica vita da vivere, e che questo bisognava preservare per non distruggere noi stessi e il pianeta. Le loro prime esperienze qualche anno dopo, e senza far troppo caso alle differenze, furono chiamate «body art».

Hermann Nitsch, Das Orgien Mysterien Theater. Das 6.Tage-Spiel, 1998


Suscitavano scandalo le Aberrazioni di Hermann Nitsch: i visceri estratti a mani nude, le feci e il sangue degli animali scuoiati, mostravano la realtà della morte così com’era. Le persone inorridivano ma anche ne rimanevano irretite e coinvolte: erano indotte a discendere loro malgrado nel mondo oscuro, e a scoprire in se stessi e nelle proprie pulsioni l’origine di ogni piacere e di ogni sofferenza.

Ugo La Pietra, Uomouovosfera, 1969

 

Lasciavano interdetti certi ordigni e creazioni di Ugo La Pietra, che non trovavano posto nei supermercati come nelle gallerie d’arte: non rispondevano ad alcun bisogno o desiderio, non si potevano consumare. Erano strumenti che ti obbligavano a non restare passivo, ti disponevano a compiere una esperienza inedita, alternativa ai modelli imposti. E poi.
E poi i ragazzi riempirono le strade di cortei e barricate, si misero a scrivere sui muri, alcuni uccisero e altri furono uccisi. Il 7 giugno 1968 all’università di Vienna gli azionisti realizzarono la performance «Kunst und Revolution», durante la quale misero in atto ogni possibile provocazione defecando, vomitando, masturbandosi e automutilandosi in pubblico. Alla fine nudi, sanguinanti e coperti di escrementi cantarono in piedi sulla bandiera l’inno nazionale austriaco. Günter Brus minacciato di morte dovrà scappare in Germania e nel 1970 il tribunale lo condannerà a sei mesi di prigione.

Günter Brus, Kunst und Revolution, 1969

 

.Non fu più possibile un’arte disimpegnata, che non abolisse i confini con la vita: arte-vita proprio come volevano Marinetti e i futuristi, come vivevano e vivono Gilbert & George: nei loro abiti perfettamente inglesi un poco dimessi e lisi, così impeccabilmente eleganti nei gesti e nei modi, bevono, si dipingono, vanno a gabinetto si ritraggono come due stronzi, dicono che c’è qualcosa di sacro anche nella merda, l’arte è per tutti. Non è una provocazione, è semplicemente la loro vita.

Gilbert & George, Eight Shits, 1994

 

 .

Ulrike Rosenbach

E se mai una forza accelerò questa evoluzione, negli anni Settanta, fu certamente la rivoluzione delle donne. Le donne ridicolizzarono le belle teorie politico-economiche, slogan e parole d’ordine, imponendo la realtà della loro condizione, cosa vuol dire essere inchiodati a un ruolo quando senti di poter abbracciare il mondo. Che il privato è politico, che il sesso, la maternità, la famiglia riproducono le strutture del potere. Compagni in sezione fascisti a letto, e se comincia la caccia alle streghe la strega sei tu. Cosa vuol dire mettere al mondo un figlio, cosa c’è nell’amore di così intimo alla natura, alla comunione dei viventi. Nel corpo della donna è la difesa della natura di Beuys e la memoria delle nostre origini, la risposta alle domande intorno al nostro destino. Una risposta che irride ogni credulità: che tutto è irripetibile e destinato alla dissipazione. E che c’è una esperienza che nessun Dio può fare, solo un umano: vivere sapendo che un giorno morirà. Sì le streghe sono loro. E a pensarci ogni corpo è questo delicato equilibrio dell’essere per la finitudine e la morte.

Marina Abramovic e Ulay. Amsterdam, Stedelijk Museum, 30 novembre 1977

 

Hannah Wilke, immagine tratta da Intra-Venus, 1992

Quando le viene diagnosticato il cancro, Hannah Wilke decide di documentare le fasi della chemioterapia, dal dicembre 1991 all’agosto del 1992. «La mia preoccupazione è trasformare il negativo in arte», aveva detto. Nelle immagini di Intra-Venus si fissano momenti di serenità, preoccupazione, speranza, disperazione. Tutto quello che le persone non vogliono vedere, di cui non hanno il coraggio di parlare. Ma lei è sempre bellissima nella sua nudità. C’è un’immagine in cui sono visibili all’inguine le garze della dialisi, e Hanna si pone in capo per corona un piccolo vaso pieno di fiori freschi, le braccia atteggiate a sostenerlo, il seno rotondo e i larghi fianchi, come un’antica dea della fecondità. Perché lei aveva – e non era – il cancro.

Pensiamo a Cristo crocefisso e a Dioniso fatto a pezzi, alle catacombe e ad Eleusi: è il corpo il prezzo da pagare, è la sua perdita l’unica e vera tragedia – e che ne consegua in premio la beatitudine o il nulla non ha poi grande importanza. Cristo e Dioniso offrono il loro corpo in sacrificio: quello che hanno di più prezioso, la loro unicità e diversità come nell’antico canone della messa cristiana:
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Prendete e mangiatene tutti
questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.
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Non c’è arte più autentica di questa, dove uno paga e sperimenta sulla propria pelle, non c’è arte più vera della vita della gente comune, oggi più che mai, e nonostante tutto, se c’è ancora bellezza nel mondo e una felicità possibile.
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Anonym, 1976
immagine della cartolina/invito alla mostra: Marina Abramovic e Ulay, Installation Two, 1979

 

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