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Il prossimo 7 giugno a Torino, presso la Galleria Sonia Rosso, ore 18, verrà inaugurata la mostra SUPERSTUDIO E L’ARCHITETTURA RADICALE, a cura di Paolo e Bruno Tonini (L’Arengario Studio Bibliografico), entrata libera e gratuita.

I visitatori potranno vedere e sfogliare dal vivo, oltre alle pubblicazioni storiche, inediti materiali d’archivio dal 1966 alla fine degli anni Settanta, dagli album di Adolfo Natalini alle stampe in radex dei progetti, ai libri autoprodotti, ai poster, alle svariate pubblicazioni in riviste italiane ed estere dove prendevano forma le nuove immagini.

catalogo-interno-400Ho conosciuto Adolfo Natalini il 25 ottobre 2010 per iniziativa di Vittorio Savi, suo amicissimo. Vittorio Savi era un uomo appassionato fra mille altre cose all’architettura di vetro, per questo aveva cercato e trovato da Bruno e me, anni fa, il famoso libro di Scheerbart. Il filo sottile e resistente di quella felicità ha dato origine al nuovo incontro. Il tempo di presentarci, di frugare fra carte e disegni e di pranzare insieme. Giusto il tempo di accompagnarci fin lì e poi Vittorio Savi se n’è andato. Cosa vuoi progettare se non la tua vita, diceva Natalini all’epoca del Superstudio. E nel progetto deve trovare spazio anche la morte. Non pensiamo mai alla morte: questo fa riflettere sul modo come pensiamo alla nostra vita. Una passione intellettuale ha fatto da base a un incontro e l’incontro ha lasciato una traccia. C’è qualcosa di meno e qualcosa di più dietro la storicizzazione degli eventi e delle idee, sono gli incontri che sorprendono allietano spaventano e a volte cambiano le vite. Bisogna camminare nell’amicizia per vivere fino in fondo.

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Adolfo Natalini, 1971

Scrive Natalini:
Ho cominciato a disegnare con regolarità, come fosse un compito che mi ero assegnato, nel 1954, usando piccoli blocchi da disegno Fabriano con la copertina celeste. Ma disegnavo anche su carte di ogni tipo, con preferenza per carte già usate (usavo il retro di fogli da disegno trovati a scuola, vecchi moduli, carta da pacchi).
Disegnavo la mia mano, ritratti di compagni di scuola, paesaggi, autoritratti. Nel 1958 avevo imparato a disegnare molto bene ma non sono stato più capace di fare disegni come quelli che facevo allora su carte grigie da pacchi.Ho cominciato dipingere, poi ho cominciato l’università e alla facoltà di Architettura mi hanno insegnato un altro tipo di disegno, esatto e regolare di cui non sono mai stato capace. Ho imparato a tenere in ordine i disegni e le idee, come i libri di una biblioteca.
I disegni degli altri hanno cominciato a fare parte dei miei. Ho iniziato a usare carte trasparenti (il lucido, il burro, il cipollino) sulle quali tracciare disegni che derivavano da altri, modificandoli per generarne ancora. I fogli trasparenti si potevano sovrapporre come una sequenza di giorni: avrei voluto che ogni disegno conservasse nel suo interno tutti gli altri e mi addolorava perdere anche una sola linea.

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Il monumento continuo, 1969

Verso il 1964 ho iniziato a usare altri album da disegno, col dorso a spirale. Ne conservo solo qualcuno, ma ne ho uno del 1968-1969 con i primi disegni degli “istogrammi” e del “Movimento Continuo”. Usavo anche grandi quaderni a quadretti con la copertina rigida: erano come registri nei quali si mescolavano scritti, conti e disegni. Nei registri a quadretti ritrovo una gran quantità di programmi (lavori, disegni da fare, lettere e testi da scrivere) e inventari (lavori e disegni che speravo di pubblicare). I registri contenevano una sorta di contabilità a partita doppia che mescolava soldi, disegni e idee.

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Il monumento continuo, 1969

Nel 1974 ho cominciato a usare i quaderni neri: ho comprato i primi Rowney a Londra ed erano troppo belli per disegnarci. Mi sono fatto forza ed ho cominciato a disegnare e scrivere su quelle belle pagine… e continuo a farlo. Ma questa è un’altra storia – non ancora finita e quindi difficile da catalogare. Negli ultimi anni (ho cominciato ad andare in ferie nel 1997) appaiono i quaderni estivi, con pagine colorate e acquerelli.

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Frammento dal Monumento continuo, 1969

Nei quaderni estivi figure, paesaggi e architetture si mescolano in una sorta di felicità infantile. E’ come se i confini tra le cose fossero finalmente scomparsi, come quelli tra i giorni e quelli tra memoria e progetto, resi liquidi dai colori dell’estate come i pigmenti dall’acqua. I quaderni (numerati come le loro pagine) danno un ordine ai pensieri, forse è solo un ordine cronologico, ma mi sembra l’unico ordine possibile, un po’ come quello alfabetico per autore della mia biblioteca.

In alcune scatole di cartone giacenti nei miei caotici e delapidati archivi da più di trent’anni ho estratto una serie di piccoli album da disegno sui quali tra il 1967 e il 1972 ho allineato piccoli schizzi (qualche volta a colori) annotazioni e scritti. Li ho riuniti a dei quaderni a quadretti dove gli scritti occupavano uno spazio maggiore insieme a brutte copie di lettere, elenchi di materiali per pubblicazioni e mostre del Superstudio, appunti di riunioni tra il 1972 e il 1978. Ho ritrovato fascicoli rilegati artigianalmente, libri poveri autoprodotti…
Mi sembrava di guardare in un album di foto di famiglia: qua e là avevo dubbi a dare un nome ai diversi personaggi. Tutte queste immagini ora si sono fissate nella mia memoria come un catalogo. E ho pensato che liberate dalle scatole di cartone e dai rischi della dimenticanza potessero andarsene per il mondo…

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Ville – Amada, 1969

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Ora il mio archivio più antico mi sembra vuoto e freddo. Spero lo riscaldi il tepore dei soldi. Di fama e gloria ne ho avuta abbastanza negli anni giovanili. Ora ne restano memorie ceneri e rovine. Con minor fama e gloria ho continuato a costruire quando ormai non ero più super né giovane. Ho il conforto della felicità degli abitanti delle mie case, dell’allegria dei giovani, musicisti e giocolieri nelle mie piazze, della stima e dell’amicizia dei miei amici più cari… E anche di qualcuno che non conosco o che ho conosciuto da poco (come quelli dell’Arengario).

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Da Vita educazione cerimonia amore e morte, 1972: Amore

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Riguardare e catalogare queste carte mi ha riempito di nostalgia e commozione: invecchiando si diventa sentimentali. Ho rivisto vecchi progetti e vecchi amici. Dalla pittura pop del 1960-66 ai primi tentativi di far oggetti e mobili ugualmente colorati e volgari, ai primi tentativi d’architetture razionali (poi razionalismo esaltato e poi surrealismo) dagli istogrammi alle ville al monumento continuo e poi via (di corsa) tra il 1969 e il 72… E poi alla caccia dell’architettura tra il 79 e l’83…
Ho trovato progetti (e storie) celebri (strapubblicati) e altri abbandonati e dimenticati. Ancora una volta ho ringraziato la carta e i libri, perché gli album e i quaderni sono i miei libri scritti, letti, riscritti da me per me solo (e per pochi altri).

Adolfo Natalini 20.10.2011

 

catalogo-180rAbbiamo già parlato di architettura radicale:
http://www.arengario.it/?p=224
Qui troverete notizie, immagini e videoclip.

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