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A sinistra: la prima edizione de La Ville charnelle di F.T. Marinetti (Paris, Sansot, 1908)
A destra: la sua prima traduzione italiana, col titolo Lussuria-velocità, a cura di Decio Cinti, (Milano, Modernissima, 1921)

 

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F.T. Marinetti, La Ville charnelle, Paris, Sansot, 1908
Dedica autografa all’occhietto

Nel luglio del 1908 Marinetti pubblica a Parigi La Ville charnelle. E’ una raccolta di poesie e poemetti, a cominciare da quello che le dà il titolo, diviso in dieci parti, il più corposo della silloge. La città carnale è la Donna in una delirante cosmologia dove il Sole, la Luna, il Mare e altri elementi danno corpo alle fantasie sessuali del poeta. Eros Edipo e Thanatos si muovono all’ombra di minareti e giardini pensili, grotte, sconvolgimenti di sensi, allucinazioni. I buoni sentimenti sono irrisi a ogni pagina, esiste solo enorme e invincibile il corpo della donna:

Voglio dormire nella chioma della Lussuria / e bere alla soave fontana della Vulva, / che sola può estinguere la sete delle mie arterie” (F.T. Marinetti, Lussuria-Velocità, Milano, Modernissima, 1921; pag. 19).

E l’epilogo è la morte, l’ultimo dei piaceri, l’annullamento dell’io che si compie nell’orgasmo. Città-Donna, pericoli profumi esotiche delizie, c’è molta Africa: Africa energia spontaneità del desiderio contro lo snobismo e le finzioni della cosiddetta civiltà. Ma non è una riscoperta del buon selvaggio, al contrario è l’esasperazione del modulo decadente travolto dalla realtà industriale, il mito della velocità che farà da base al manifesto del futurismo.

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F.T. Marinetti, La Ville charnelle, Paris, Sansot, 1908. Controfrontespizio e frontespizio

 

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Frontespizio della traduzione italiana

Non è un caso che la traduzione italiana, pubblicata molti anni dopo nel 1921 in una tiratura 1000 copie, si intitoli Lussuria-Velocità. E non è nemmeno un caso che restino esclusi la poesia più decadente Mon coeur de sucre rouge e i Dithyrambes – versi di circostanza dedicati a vari poeti dell’epoca -, con la sola eccezione di A mon Pégase tradotta col titolo Automobile da corsa. E’ poi da notare che le altre poesie sono raccolte sotto il titolo Piccoli drammi di luci e che il testo conclusivo è il manifesto del 1916: La nuova religione-morale della velocità.

Ma quello che fa capire immediatamente di cosa si sta parlando è la bellissima copertina di Achille Funi, dove la città si offre a tutti i sensi, bella e spietata con la sua gioia vanità dolore dramma réclames, e sembra illustrare l’idea marinettiana e futurista dell’onnipotenza del desiderio prima che della volontà:

Desiderio!… desiderio eterno magnete degli uomini!… E tu, mia volontà, gran carburatore di sogni!… Istinto divinatore, sublime cambio di velocità! Oh cuore mio esplosivo e tonante, chi ti impedisce di atterrare la Morte? Chi ti vieta di comandare all’Impossibile? Oh! renditi immortale, d’un colpo di volontà!” (ibid. pag. 153).

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