corra-famiglia-innamorata

Bruno Corra, La famiglia innamorata, Milano, Facchi, 1920
Prima edizione. Copertina di Luigi Daniele Crespi

La famiglia innamorata è un romanzo stupefacente, non solo perché smonta e beffeggia il moralismo di allora e di ora, ma anche perché anticipa il concetto attualissimo di famiglia allargata. Bruno Corra lo pubblica nel maggio del 1920 dal solito Facchi con una inquietante copertina di Crespi e l’anno successivo viene ristampato, ancora da Facchi, con una di Lucio Venna.

C’è il solito giovane di belle speranze, Guido, con mille sogni e promesse che presto si sposa con Adelina, una donna meravigliosamente mite e buona. Ovvio che la tradisca con una che è l’opposto, feroce, sadica, dominatrice: Bianca dai capelli rossi. Bianca ha un marito, Giacomo, classico aspetto da pretino, pallido, magro ma uomo di potere e d’affari, bene introdotto negli ambienti clericali. Chi poteva prevedere che il pio Giacomo si innamorasse  perdutamente di Adelina, e che lei a poco a poco cedesse alla tentazione? Si incrociano due storie di reciproco adulterio, quella di Bianca e Guido, burrascosa, fatta di gelosie e furiosi amplessi, e quella di Adelina e Giacomo, tormentata dal rimorso e contrassegnata da un grande rispetto.
Quando Guido sente con le sue orecchie la dichiarazione d’amore di Giacomo ad Adelina gli crolla il mondo addosso: ecco le corna l’onore macchiato e il resto delle idiozie correlate, ed ecco lo schiaffo sul viso della moglie: la tipica reazione del maschio  imbecille. Guido va detto se ne pente subito amaramente, e Adelina la prende con filosofia, inizia da lì la sua relazione con Giacomo.
I quattro si frequentano sempre più assiduamente, cene, gite, teatro, e a loro si unisce un’altra coppia, madre e figlio: Giulia e Renato. Renato è un giovane focoso che senz’altro a Bianca piacerebbe domare, e Giulia è proprio la donna perfetta per Guido, così appassionata ma vicina all sua sensibilità intellettuale. Guido e Bianca non sanno rinunciare del tutto alla violenza dei loro amplessi, ma lentamente si avvicinano, lui a Giulia e lei a Renato, con sempre maggiore intensità di sentimento.
Chi poteva prevedere che da questo intrico di tradimenti e sensualità sorgesse qualcosa di affatto nuovo e incredibile?
Semplicemente una mattina Guido si sente leggero e pieno di salute, per la prima volta entra in contatto con la realtà, ed è una scoperta sconvolgente tanto pare ovvia:

Ricordava di essere entrato nella vita a diciott’anni circa con un enorme bagaglio di divieti e di paure. Attenti a schivare le malattie. Attenti a non innamorarsi troppo di una donna. Attenti a non pigliar moglie. Attenti a non far figli. Attenti a non spender troppo. Trincerarsi di qua. Premunirsi di là. Non muoversi dall’altra parte. Chiudere. Tappare. Non sentire. Non sciupare… Non era stato capace di questa semplice, dritta e primordiale generosità: accettare la vita! Accettarla in pieno, con tutte le sue possibilità di fortune e sventure, di innalzamento e di distruzione! Accettare l’amore, la famiglia, i figli, le responsabilità, i pericoli, i dolori! Accettarli con la fede certa che da quella potente e generosa assimilazione di esperienza sarebbe germinata, al momento buono, la fortuna: idea scoperta o donna incontrata, affare preso per i capelli o visione d’arte afferrata nella rete d’acciaio di un capolavoro, lirica o denaro” (pp. 200-202).

Guido si accorge che la vita è molto più avanti delle profonde riflessioni su di essa, che i sensi sono i testimoni più attendibili nel reame della felicità e che bisogna essere sinceri con se stessi  e con gli altri per percepire e godere fino in fondo tutta la poesia che ci tocca:

Non v’era essere umano che non portasse inchiodato alla propria carne un suo tormentante ed esaltante lirismo. Avrebbe voluto poter entrare nelle profonde intimità di tutti gli uomini, non tanto di quelli che portano scritta in faccia la potenza del loro impeto e della loro irrequietezza, quanto degli innumerevoli e modesti che passano nella vita con un’apparenza di moderazione e di umile serietà, piccola gente borghese posata e saggia. Entrare nella loro vita, frugare nella loro anima, leggere accuratamente la piccola storia delle loro giornate, scoprire le delusioni i sacrifici e le ipocrisie, mettre in luce la vicenda dei loro amori e delle loro ristrettezze, sviscerare la loro intimità erotica e famigliare, ricostruire lucidamente l’intreccio mediocre ma ricco di particolari ritorti dentro il quale si avvertirebbe certamente il piccolo ma tenace e sempre vigile lirismo che era il vero padrone della loro vita” (pp. 208-209).

I fratelli Ginanni Corradini (Bruno Corra e Arnaldo Ginna)
insieme a Mario Carli (1918)

E’ proprio una illuminazione: immaginiamo Milano una domenica mattina presto, poca gente per strada, piazza del Duomo:

Mentre stava per imboccare la Galleria si voltò indietro e si fermò a guardare il Duomo. E pensò che cosa avrebbe potuto rispondere a un essere arrivato da un altro mondo il quale gli avesse chiesto: «Scusi, per favore, a che cosa serve questo grande fabbricato?». Non l’avrebbe certo convinto dicendogli la pura verità: «Serve a commuoversi»” (pag. 211).

Guido si accorge del fatto che sta vivendo una esperienza meravigliosa e insieme comune: che non c’è nulla di speciale in questo, che ognuno potrebbe vivere la stessa esperienza, che la vita vera è per tutti, non occorre essere belli, e nemmeno geniali, non occorre essere santi né eroi né artisti né ricchi, basterebbe la delicatezza di esprimere i propri desideri, di chiedere amore e amicizia senza paura di sentirseli negare o di venire emarginati per patente immoralità.
Eppure c’è ancora qualcosa che stona e pesa : queste sei persone sono perfettamente coscienti e soddisfatte delle loro relazioni,  si frequentano assiduamente e stanno bene insieme, in barba a ogni pregiudizio. Solo che fra loro c’è come una zona di silenzio e di buio, la zona della vergogna e dei rimorsi, delle apparenze da salvare in un mondo dove il pudore è tanto ipocrita da sentirsi oltraggiato dall’altrui felicità.
Un giorno però accade un incidente, e Bianca è in fin di vita. Tutti insieme la accudiscono amorevolmente, scoprono che la morte di Bianca sarebbe un dolore per tutti. Si scoprono realmente amici. E quando lei si salva la loro felicità è incontenibile. Si vogliono bene, questa è la realtà. Si vogliono bene perché si danno piacere e non c’è niente da vergognarsi se l’attrazione per il coniuge altrui viene chiamata adulterio. La realtà e la vita sono altrove, nei sensi meravigliosi e nella sincerità, nella trasparenza degli sguardi e delle parole:

Di fronte al violento attacco a cui avevano dovuto tener testa, avevano sentito balzare nuda, impudica, e noncurante di ogni giudizio o di ogni condanna, la colleganza di brividi e di pensieri, la parentela di carni e di spiriti che li faceva veramente, realmente membri di una sola famiglia… Si amavano. Si volevano bene. Si guardavano con affetto. Erano felici delle buone parole che si scambiavano. Avevano l’impressione che l’amorevolezza sovrabbondante di cui ognuno si sentiva colmo traboccasse dalle loro singole personalità come un impalpabile fluido psichico per fondersi in una grande nuvola di affettuosità che era il loro amore… Tutto ciò era sentito e vissuto con pacata tranquillità, borghesemente, abitudinariamente, senz’ombra di paradosso, senza avvertire alcun sapore di novità o di anormalità, con la rilasciata sicurezza con cui si compiono le azioni più comuni e più legittime. Si volevano bene: sincerissimamente, senza trucchi e senza infingimenti… E si sentivano commossi. Commossi nelle anime e nelle carni attraversate da fremiti impercettibili ma intuitivamente dolcissimi. Emozionati da una chiara sensazione comune: che la nuvola di felicità a cui s’abbandonavano con tanta delizia brulicasse di baci e di carezze, fosse animata da tutti i baci e da tutte le carezze prodigate nei loro vari incontri a due, vibrasse di tutte le voluttà dei loro singoli amori sottratte giustamente agli egoismi individuali e giustamente mescolate in un solo patrimonio collettivo di piacere. E rabbrividivano sentendosi passare sulla pelle dei baci che avevano il calore composito di molte labbra, delle carezze che contenevano il tremito di molte mani innamorate” (pp. 258-262).

Lascia un commento