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Gianni Emilio Simonetti (Mosca, 2016)

Ho incontrato Gianni Emilio Simonetti a Milano un giorno di metà settembre, con un bel sole e l’aria tiepida estate addio ma con dolcezza. Non è che non lo conoscessi ma certamente sapeva più cose lui di Bruno e me che non noi di lui. La differenza è che lui è protagonista di almeno un paio di rivoluzioni permanenti (situazionismo e fluxus), mentre noi non ne raccogliamo che qualche frammento.

Tutto è cominciato da una e-mail sua riguardo a un articolo di questo blog, Gino De Dominicis: disabilità, manipolazione e perbenismo. Nello scambio di messaggi che ne seguì, appresi che oltre all’attività accademica Gianni conduce il Laboratorio di Artiterapie presso il Centro Diurno Luvino di Luino: una struttura finalizzata all’integrazione dei malati di mente. E non è che ci lavori per sfoggio di solidarietà, ci lavora davvero, ben meritandosi “i riconoscimenti unanimi sia dai pazienti che dagli operatori del settore”, ha dichiarato il dott. Isidoro Cioffi, direttore della Psichiatria del Verbano.

Ma tornando all’incontro. L’appuntamento era al bar Magenta, quello che negli anni di piombo, raccontava Gianni, era stato l’ “ufficio postale” delle Brigate Rosse: arrivava un’auto in corsa e davanti all’entrata veniva lanciato un pacco di volantini o comunicati. Adesso è diverso, sono rimasti forse solo gli studenti – Gianni vorrei che tu e Bordiga e io. Comunque. Il clima e l’atmosfera, le belle ragazze intorno, ci sono momenti perfetti nella vita fatti di quel che semplicemente c’è. Perfino la pasta era giusta al dente e non riscaldata al microonde. Il prosecco era dignitoso. Sarà un caso che il cibo sia oggi al centro della riflessione di Gianni sul futuro e il da farsi?

Ad ogni modo prima ancora di iniziare la conversazione lui mi ha regalato una immagine: l’opera d’arte egemone nel XXI secolo, che ora fa parte del mio museo archeoideologico. La deliziosa Pizia che va profetando il futuro porta la maschera a coprire quel che per gli uomini ella ha di diverso e non quel che ha di identico con le altre donne – direbbe Joyce.

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Gianni Emilio Simonetti, L’opera d’arte egemone nel XXI secolo…, 2000

Di che abbiamo parlato. Di niente. Libri ricordi leggerezze. Di che parlano le persone che vogliono conoscersi. Pochi hanno a cuore il mestiere che faccio ma Gianni è fra i pochissimi che ne propugnano il valore culturale possibile. Non c’era un filo che portasse da qualche parte. Semplicemente si materializzavano nelle parole le avanguardie del mondo la storia orrenda e poi Rimbaud Flaubert Gadda Carlo Marx Musil Proust Bataille – sono i primi che mi vengono in mente. Con emozione ascoltandolo tornavo a luoghi perduti nella memoria, i luoghi di una giovinezza forse troppo felice per fissarsi in primo piano nella mente – chi è il tuo maestro,  mi aveva chiesto fra altre cose – tanti ne ho avuti gli ho risposto ed è vero, ma senza dirgli che ricordo il primo, la sua gigantesca biblioteca, le ore passate a studiare il latino Shakespeare Sade Hegel Il Capitale. I momenti indimenticabili in cui straripa un conoscere, quando si scoprono mondi meravigliosi e non si teme di percorrere sentieri interrotti. Cultura è questa cosa qui, non esiste una cultura infelice.

Volevo dire dell’opera d’arte del XXI secolo, dell’artificazione e magari anche della cultura materiale, di Gianni che non smette di creare. Ma più di tutto mi rimane indelebile il senso di amicizia e di gratitudine per quel ricongiungimento. Perché davvero non pensavo che fosse rimasta tanta vitalità in quei giorni miei lontanissimi. Volevo parlare di Gianni e invece ho parlato di me, e forse anche un po’ di che sia la carta stampata. Non c’è arte più essenziale che vivere, gettare un po’ di luce su cosa vorremo fare, l’abbraccio degli amici, e poi la traccia che incide il foglio bianco, la musica che siamo irripetibile.
E anche  i gatti che ti accolgono quando torni a casa, carissimo Gianni.