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Gianluca Nicoletti, Una notte ho sognato che parlavi
Milano, Mondadori, 2013

Fra i pochissimi libri significativi sull’argomento, quello di Gianluca Nicoletti è per me il più importante e autentico. Il problema non è l’autismo o qualunque sia la disabilità fisica o mentale, il problema è vivere ed essere felici, ma questo è possibile solo se ne hai il tempo.

Anch’io ho sognato che la mia Emma parlasse. Era una sensazione bellissima come se si fosse rotto un incantesimo, finalmente mi avrebbe raccontato cosa provava e desiderava, dove sentiva dolore, se avesse o no bisogno di scaricarsi, quali i gusti i desideri le speranze. Poi mi sono svegliato, ma non con l’amarezza che segue a un sogno seducente, piuttosto con nostalgia, uno sfasamento del tempo che chiedeva pazienza – a me così intemperante. Ma si impara ad essere pazienti perché nella lotta quotidiana per la felicità noi non possiamo permetterci di sbagliare. Chi non fa di questi sogni può concedersi qualche errore in più, e ha più tempo per recuperare, forse è tutta qui la differenza.

Ecco, Tommy monopolizza il tempo di papà Gianluca. A dir la verità a Tommy non interessa di monopolizzare niente e nessuno. Il problema è di Gianluca che non può lasciare solo Tommy se no quello rischia di sparire, o di saltare dal balcone o di finire sotto un’auto. La sopravvivenza di Tommy dipende da Gianluca: Gianluca non può disporre liberamente del proprio tempo ma deve adeguarsi a quello di Tommy. Certamente c’è anche il tempo condiviso: è un tempo che gratifica, non c’è dubbio, al punto che per molti genitori questo tempo si divora tutta la giornata: è la dedizione assoluta che appaga più di quanto non avvilisca.

Tommy e Gianluca

E’ una scelta possibile, non so se più eroica o più facile, ma non è quella di Gianluca: Tommy non apprezzerebbe granché un padre umarel che ha annullato desideri e sogni per corrergli dietro col sacchetto del miele. Tommy, come qualunque altro figlio normodotato ha bisogno di un papà felice, che sappia star bene al mondo. Perciò la prima condizione è non mollare niente di quello che ti piace e ti è essenziale. Da qui tutta una serie di calcoli e di riflessioni di carattere pratico, come l’attenzione agli orari per consentire agli altri componenti della famiglia spazi e momenti di libertà, l’appartamento arredato a misura di loro due, o il tandem.

Me lo immagino Gianluca mentre pedala sul tandem, solo lui perché Tommy furbamente scansa la fatica. Magari fa caldo, il sudore cola, e Gianluca vorrebbe essere altrove. Però lo sa che quel figlio grande e grosso deciso a rimanere piccolo se la gode un mondo: è in giro col suo papà, il vento nei capelli e tutto scorre mirabilmente che vuoi di più? E’ la perfetta felicità. E un po’ di quella felicità Gianluca se la sente addosso, lo aiuta a pensare diversamente. Think different, be different, è una figata altro che storie, non scambieresti il tuo posto, non torneresti indietro.

E poi me lo immagino dinanzi alla signora burocrate dell’ASL che si cura le unghie rispondendogli di malavoglia – tanto non sono problemi suoi. Quando dicevo della pazienza: non l’ha mica presa per il collo né sporto denuncia, poteva sotterrarla di vergogna con le sue conoscenze e non l’ha fatto. Perché trasportare e correre dietro a Tommy gli ha insegnato cosa è importante e cosa no.

La prima volta fuori dal Santa Maria della Pietà, 1978
L’anno in cui fu approvata la legge Basaglia
Fotografia di Tano D’Amico

Però la meravigliosa Insettopia chi lo sa se sarà mai realizzata. La città dei diversi, disabili o diversamente umani potrebbe essere adesso subito Roma, Milano o Lugo di Romagna o qualunque altro posto. Sarebbe sufficiente una mutazione antropologica opposta a quella prevista da Pasolini. Una mutazione del modo come viviamo insieme per cui non solo i genitori si prenderebbero cura dei diversi e dei normali ma tutti, tutti insieme, regalandosi del tempo e dell’affetto. Il presupposto è una grande civiltà, come diceva il mio amico Tano parlando delle feste che i giovani del movimento organizzavano nel 1977:

Quando un omosessuale bandiva una festa, cioè invitava tutti quanti, cinquantamila persone, sessantamila persone, ad una festa sui prati di Montalto di Castro, ad esempio, si andava tutti e c’era spazio per tutti, ma non solo per i giovani e per i belli. C’era spazio anche per i portatori di handicap, perché c’erano in mezzo a noi quelli che lavoravano con i portatori di handicap, e non erano assenteisti, quindi se li portavano, e c’erano insegnanti che portavano con sé i bambini, e c’era spazio per tutti, per i giovani, per i belli, per i brutti, per i portatori di handicap, c’era spazio per i pazzi, per i malati di mente. E secondo me solo nei periodi alti della civiltà esistono delle feste per tutti. Ecco, se tu ci fai caso, anche nella letteratura è raro trovare, sì, forse nella Comune di Parigi, ma soltanto nei periodi alti della civiltà è possibile trovare delle feste così, in cui c’è spazio per tutti…” (Tano D’Amico, in Claudio del Bello, Una sparatoria tranquilla, Roma, Odradek, 1997; pag. 39).

Magari ci siamo vicini a Insettopia, magari stiamo cambiando e non ce ne accorgiamo, magari i social network sono il disegno della città futura, tra immagini e parole condivise. Speriamo caro Gianluca prima molto prima di quando, come scrivi alla fine:

Noi ci faremo qualche bella passeggiata ancora assieme. Quando io non ci vedrò quasi più, forse passeremo col rosso“.

Grazie per aver detto fino a questo punto di tutta quella immensa disperata felicità.

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