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Ruggero Vasari, Tre razzi rossi, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1921

Ruggero Vasari è un intellettuale siciliano che respira l’atmosfera cosmopolita dell’avanguardia fra Italia e Germania negli anni Venti e Trenta .
La sua rivista Futurismus, stampata a Berlino, sarà un ponte fondamentale fra le diverse culture che il nazismo definirà «degenerate», dall’espressionismo a dada, al futurismo, costruttivismo ecc.

La sua opera prima Tre razzi rossi (Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1921, ma stampato a Torino a spese dell’autore) raccoglie tre sintesi teatrali con prefazione dell’amico Francesco Carrozza: Femmine (poi ribattezzata Ecce homo), Sentimento, e Anarchie (poi col titolo  Il Giustiziere), tutte ristampate due anni dopo nel volume La mascherata degli impotenti, illustrato da Enrico Prampolini. Se l’erotismo futurista si era espresso principalmente come critica del costume e provocazione, con Vasari si apre una prospettiva inedita, quella della diversità e delle cosiddette perversioni.

Enrico Prampolini, Ecce homo [Femmine]
Tavola tratta da: Ruggero Vasari, La mascherata degli impotenti, 1923

Il sesso gioioso e leggero, delizia dei sensi e felice al di là di ogni convenzione – ma nello stesso tempo assai tradizionale, non scindibile dal rapporto maschio / femmina e dai valori famigliari, cede il posto all’incubo: l’individuo è attraversato da passioni che lo disgregano, la ragione dei suoi desideri e del suo piacere è riposta in un destino estraneo e imperscrutabile. Come in Sade, nessuno ha potere sul proprio sentire e sui propri gusti, e non fa molta differenza che questa estraneità venga chiamata Fato, Natura o Dio. Sesso vissuto con timore e tremore tra santità e abominio, è il vizio assurdo che non ha rimedio, senza di cui nonostante tutto non si può vivere.

Così nella prima sintesi Femmine è ritratto un uomo che ha rinunciato ad essere forte geniale e rispettato: divenuto ormai «spettro di un uomo intelligente», ha riposto la sua causa nella puttana adorata, quella che passando per strada con un altro amante gli sputa in faccia. Quello sputo gli è prezioso e caro infinitamente, è un altro modo di farla sua: il piacere di essere disprezzato e deriso da lei è la catena con cui la tiene avvinta: perfetto masochista senza latex e frustini, non gli interessa il corpo ma quel che nell’eros è intangibile e sempre in fuga. Due lucciole che lo osservano commentano: per una è un’idiota, per l’altra un superuomo, ecce homo, che fu appunto il titolo rinnovato.

Enrico Prampolini, Sentimento
Tavola tratta da: Ruggero Vasari, La mascherata degli impotenti, 1923

Nella seconda sintesi, Sentimento, ci sono Lei, Lui e l’Altro. Lui tormenta Lei, in preda alla paranoia di tutto possedere: non gli basta avere ottenuto senza riserve quello che Lei poteva concedere al suo piacere, vuole altro ancora, quello che in lei è più intimo, ignoto agli altri e forse a lei stessa, quell’Altro che resta nell’ombra come il più temibile dei rivali. Fino a quando ci sarà l’Altro non sarà possibile il perfetto piacere. L’Altro è il limite oltre il quale c’è il sentire nella sua purezza e immediatezza, esente da colpe e rimorsi. Quando l’Altro, «pallido, bello», entra nella stanza, lei lo pugnala al cuore travolta dall’esaltazione – e dalla morte che ha saputo infliggere viene la nuova vita di quello che in lei è autentico: è finalmente libera dal sentimento che la imprigionava in una rete di rispetto, dolcezza, mansuetudine, e può finalmente offrire a Lui quel che chiedeva ma forse non si aspettava: tutta la sua crudeltà e la sua determinazione, la spietatezza con cui d’ora in avanti perseguirà il proprio piacere.

Enrico Prampolini, Il Giustiziere [Anarchie]
Tavola tratta da: Ruggero Vasari, La mascherata degli impotenti, 1923

Infine un incubo dove incesto e amore saffico si mescolano all’ira del Padre. Una madre innamorata della figlia la vuole preservare dal mondo dei maschi, tronfi nella loro prepotenza e nella loro volgarità che niente sa della tenerezza e dell’universo femminile. Ne è innamorata e gelosa al punto che le fa odiare il padre, felice del suo peccato «orrendo ma magnifico». Ma la realtà irrompe una notte con la figlia che tornando da una festa le confessa di essersi data con piena soddisfazione a un uomo. Ora ricusa e le rinfaccia ogni carezza ricevuta, le dice chiaramente che non si sente in colpa per averla tradita e vuole votarsi alla prostituzione, perché «senza sangue, senza prostituzione il mondo muore». Entra in scena anche il padre, il Giustiziere appunto, che mette tutto in ordine: strangola la madre con l’inoppugnabile ragione che non si può togliere la libertà ai figli e saluta la figlia che se ne va verso un futuro chi sa se radioso, con la certezza che il Fato (la Natura o Dio) incomba sulla vita lasciandoci solo l’illusione della libertà.

Il titolo Anarchie verrà cambiato nel 1923 nel più rassicurante Il Giustiziere, ma Anarchie rimane per me il titolo che dà la chiave di questa opera e dell’intera produzione letteraria di Vasari: fato e libertà sono aspetti di un medesimo caos dove tutto è possibile, dove niente è deciso, e in cui poter vivere è l’unica salvazione.

Ruggero Vasari a Berlino, Galerie Flechtein, 1934
Vernice della mostra degli aeropittori italiani

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