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Ruggero Vasari, Venere sul Capricorno
Napoli, Casella, 1928

Per Marinetti, Corra, Terra e la gran parte dei futuristi, il sesso non è una cosa poi così complicata. La lotta senza tregua fra maschile e femminile trova la sua felice conclusione nel piacere e l’unico ostacolo da superare sono i pregiudizi e le convenzioni sociali. Al contrario Ruggero Vasari ne indaga l’aspetto oscuro, tutta l’inquietudine delle perversioni e degli eccessi: il sesso è un’esperienza dolorosa, tormentata da desideri contrastanti e fantasie innominabili da cui si dipende come da una droga.
La stessa ambivalenza si presenta nell’idea della macchina, esaltata e insieme aborrita come potere di dominio sulla natura. Non è un caso che fra L’angoscia delle macchine (1925) e Raun (1932, vedi anche in questo blog: Le macchine morte di Raun), ci siano le poesie di Venere sul Capricorno (1928), dove Vasari mette in scena i suoi fantasmi. Perché poi in fondo a tutto c’è il rapporto con la femminilità, percepita come istinto e potenza della natura da dominare e controllare.
Ma chi domina e chi è sottomesso? Il maschio algido o la cavalla di fuoco? Il masochista è vittima o non piuttosto il padrone? La masturbazione è un emblema della dipendenza, sadismo e violenza sforzi di liberarsi dal desiderio; sodomia, incesto, antropofagia modi di appropriarsi dell’altro, inani tentativi di emanciparsi dalla voluttà d’essere sottomessi nostro malgrado. Chi è femmina e chi è maschio?

 
Locandina pubblicitaria di Venere sul Capricorno di Ruggero Vasari (1928)
 
Leipzigerstrasse, composizione tratta da:
Ruggero Vasari, Venere sul Capricorno
Napoli, Casella, 1928
Venere sul Capricorno, viene pubblicato dal napoletano Casella nel 1928 ma la stampa avviene in una tipografia tedesca e ne esistono due versioni identiche in tutto tranne che per il fondo della copertina, una con fondo beige, l’altra con fondo nero. Ne ho trovata una recensione nella rivista catanese FONDACO, Anno I n. 1 del maggio 1928.

Poesie dedicate a “Bubi gatta bionda”, futuriste che più non si potrebbe, improntate come sono al simultaneismo e senza lettere maiuscole, dove rimangono incrostazioni romantiche e decadenti perché da lì e non dal regno dei cieli venivano le avanguardie giovanili nate in provincia fuori dalle metropoli.

Poesie che mai lascerebbero trasparire la loro natura sciagurata e il segreto di ogni istanza non risolta se non fosse per una composizione che non accenna né al sesso né a una ossessione ed è la più sensuale, dedicata all’amico più caro:

amico, dagli occhi di fanciullo,
ti vedo ancora al pianoforte
col pallido viso trasfigurato
mentre le tue magiche dita
scatenavano dal caos
le creature mie
che avevi tanto amato…nella miseria della tua soffitta
nelle notti di solitudine e di gelo
urlavano le sirene del tuo genio
in grovigli di ritmi esasperati…ora che le tue mani
sono irrigidite sui tasti
prendo, o fratello, le pagine
che una volta mi donasti
e le terrò strette sul mio cuore
finché i miei occhi non avranno più lagrime.fratello, tu non sei morto
è morto il mio cuore.

L’amico si chiamava Silvio Mix, che aveva musicato  L’angoscia delle macchine ed era morto qualche giorno prima di questi versi composti il 5 febbraio 1927.

Ritratto di Ruggero Vasari di Alexander Yevgenevich Jakovleff
1924

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