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Benedetta, Astra e il sottomarino. Vita trasognata, Napoli, Casella, 1935
copertina di “N.” o “M.” “Nicciani”, artista non identificato

Nel settembre 1935, recensito su STILE FUTURISTA (Anno II n, 11/12), Benedetta pubblica Astra e il sottomarino, il suo terzo e ultimo romanzo, presso il libraio ed editore Casella di Napoli, dedicandolo al marito:

Marinetti, ti offro Astra. (…) La trama è semplice eterna. L’Amore fra un uomo e una donna, ma ho cercato di dare il mistero del destino condizionato dalla Realtà e precisato e preveduto dal Sogno. Da tre anni quest’opera è compiuta. Vi è stata, tu lo sai, una parentesi più pesante nei miei giorni ed è nata la nostra Luce: Luce oggi è vittoriosa nel sorriso blu, nei suoi canti, nei biondi giochi al sole con Vittoria ardente e Ala veloce ed oggi Astra può andare nella vita portandovi una irradiazione di poesia. Poesia: tu non credi che in essa per illuminare il mondo, io credo che senza ansia spirituale e senza amore, pur se a volte e forse troppo spesso è dolore, il mondo si disgrega e si sparpaglia nel nulla” (pp. V-VI).

Che donna meravigliosa deve essere stata Benedetta. Scrittrice madre pittrice. Semplice e diretta senza ombra di civetteria. Le fotografie raccontano di quanto fosse bella e del suo sguardo penetrante, di un fascino che ha a che fare con l’oscurità e la morbidezza, una passione capace di divampare ma anche di non distruggere. Certo si piaceva molto.

Benedetta

L’amore per Marinetti, che aveva vent’anni più di lei, è trasparente da queste righe e da tutte le pagine del romanzo, dove si mescolano vita mondana, tecnologia, sensualità e delirio:

I nostri baci furono così intensi che si sono creati realtà. Dolcissimi scivolano sulle mie palpebre e si posano sulle labbra. Il tuo gesto affettuoso che mi circonda le spalle è nell’aria un tepore vivo…
Il tuo desiderio che mi vuole è l’onda lirica dei rami delle palme agitati lievemente in una sintesi di carezza…
Gli atomi cedono al mio cuore la vibrazione che il tuo corpo ha loro trasmesso. Il tuo respiro si è sparso in ogni angolo così che lo assorbo come un ossigeno. Irrido il tramonto del sole e la notte che trionfa. Perché noi siamo al di sopra nel cielo del nostro amore(pp. 24-25).

Futurismo arte-vita, non distinguere la vita quotidiana dalla poesia, fare della propria vita un’opera d’arte: occorre raccontare comunicare se stessi, i desideri e le paure, non c’è altro da dire (c’è solo da essere c’è solo da vivere, ha scritto poi Piero Manzoni chiudendo per sempre l’epoca dell’arte da contemplare sul muro).

E Benedetta dice con grande sincerità cosa le piace, per cosa delira:

La mia carne sa tradire ma non attendere. Voglio la voce che sveglia echi nelle valli folte del piacere
del calore per correggere il freddo degli spazi,
del sangue per colorare gli orizzonti
della passione per popolare la vita
(pag. 103).

Finendo per chiedere:

E’ possibile riempire d’azzurro l’infinito vuoto che separa i mondi? (pag. 109).

Il romanzo si chiude sbarrando le quattro finestre della grande casa bianca dei sogni.

Benedetta e F.T. Marinetti con le figlie Ala, Vittoria e Luce

C’è una risposta? Certo, ed è contenuta nellla dedica trascritta all’inizio: il romanzo era terminato prima della nascita della figlia Luce ma rimase nel cassetto per tre anni. Non so le vicende private della famiglia Marinetti, ma Benedetta allude a “una parentesi più pesante nei miei giorni“, da cui Luce è uscita “vittoriosa”, e ora può giocare e ridere con le sorelle Ala e Vittoria. Così il libro fu finalmente pubblicato.
In quella dedicatoria e nelle finestre chiuse sui sogni c’è forse il senso di un grande amore: la realtà dei baci, dei figli e dell’amicizia. La maternità non è un’attitudine morale né una malintesa dedizione ma un mistero di Eros:

L’acqua materna invita Astra, (che vi si tuffa) all’altra riva, la sostiene e la spinge guidata dal timone delle sue gambe, senza ostilità di spessori, né distrazioni di temperatura. Giunta è davanti ad una cancellata altissima, con una piccola porta ugualmente in ferro nero. Dietro, esattamente nel centro vi è un guardiano in divisa celeste.

— Apri, voglio entrare.

— Sai che i battenti raramente cigolano su i loro cardini per avvisare i distratti e sai che colpiscono i ritardatari e gli incerti…

Astra risponde:

— Non conosco oscillazioni e non amo le pause. Non sono un orologio che registra il tempo altrui, ma una velocità appassionata che annulla il tempo…

I battenti si aprono. D’un balzo è dentro. Non possono ormai chiudersi che alle sue spalle.

Dietro, sul prato verde, fra la cancellata, limite traforato invincibile e l’acqua chiara e dolce, circondata da terra densa intensa come la carnalità, è apparso un uomo. Un uomo che Astra conosce e che vuole entrare, ma non sa.

L’atmosfera è sovra umana. Senza spessore di coscienza — desiderio — ricordo — nostalgia — rimpianto. Dilatata da un calore intimo che ne allontana ogni contatto materiale.

Procedendo Astra scopre un giardino dove uomini chini su aiuole fiorite giuocano lavorando

(pp. 26-28).

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