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Italo Rota, I am what I am. Fotografia di Maurizio Camagna

Per me la casa non è il luogo in cui abito. Fin da piccolo mi sono abituato a pensare che la casa è il mio cuore, dove stanno gli affetti e i problemi. In questo senso me la porto sempre dietro, non è la casa rifugio, non è un nido” (Italo Rota, Cosmologia portatile, Macerata, Quodlibet, 2012: pag. 101).

Torno a guardare per rivederti, caro Italo, i tuoi disegni. E sfoglio un catalogo di libri – quello della mostra Biblioteca del Moderno. Arte e architettura nei libri dalla Sezession alla Pop Art (Lugano, Fondazione – Galleria Gottardo, 1991) dove era esposta la tua collezione. Insieme a Letteratura artistica di Maurizio Fagiolo (Castello di Rivoli, 1991) inaugurava le mostre documentarie, quelle dove protagonisti non sono i quadri ma i libri. E da questi Bruno e io siamo partiti alla ricerca dei cimeli delle avanguardie.
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Italo Rota, Cosmologia portatile, 2012. Dedica autografa

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Ricordo Parigi, l’edificio dove insegnavi a due passi dalla libreria Lecointre-Ozanne e il ristorante alsaziano, Milano, una delle case dove hai abitato, palcoscenico di libri, giocattoli, oggetti cari e rigorosamente inutili. E i tuoi abiti di dandy metropolitano. E Margherita, certo. E una conversazione con il pubblico nella nostra casa – perché siamo riusciti ad abolire per qualche tempo il confine tra il mestiere e la vita.
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Italo Rota, disegno tratto da: Cosmologia portatile, 2012.

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Italo Rota, Cosmologia portatile, 2012.

Oggi cominciano le celebrazioni. Che tristezza. Dell’architettura a te importava ben altro che qualche muro portante. Piuttosto le fragili strutture che noi siamo, freudiane. Tutto quello che oggi viene straziato e vilipeso, quei poveri corpi meravigliosi che noi siamo. Scrivevi: “I corpi oggi sono la dimensione più straordinaria che potete usare per vivere insieme, perché tutti noi siamo diversi, uno è alto due metri, l’altro è grasso, l’altro è anoressico, l’altro ha perso le gambe sul lavoro, l’altro si è scontrato perché ha preso una pasticca di extasi ed ha perso un braccio. Questa è la fine delle architetture ideali e delle città ideali, perché la nostra architettura deve essere così straordinaria da contenere tutte queste persone. […] Interessarsi al corpo, alle nostre differenze fisiche è molto più importante che interessarsi alla storia o al luogo particolare in cui siamo nati. La fine dell’uomo ideale è il fondamento stesso su cui basare ogni progetto” (Italo Rota, Cosmologia portatile, Macerata, Quodlibet, 2012: pag. 128).
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Italo Rota, disegno tratto da: Cosmologia portatile, 2012.