Non vuol dire che una cosa è un rifiuto solo perché l’hanno buttata fra i rifiuti... dal film Trash Il film Trash, prodotto da Andy Warhol per la regia…
Per celebrare il primo anniversario della “santa entrata”, Guido Marussig disegna un francobollo con la testa di Gabriele D’Annunzio recante la scritta «Hic manebimus optime», e il 12 settembre 1920 ne vengono emessi per le Poste di Fiume 14 diversi valori. Tra le immagini che ritraggono D’Annunzio questa credo sia la più piccola e, nonostante l’enorme diffusione, la meno appariscente.
Non è un cimelio difficile da trovare, ne circolano tantissimi esemplari, di tutti i valori, e costano poco. Certo non è così facile trovarli non viaggiati: nella gran parte dei casi sono rovinati dai timbri delle poste, oppure da quelli del “Governo provvisorio”. Ci si fa poco caso, come tutto quello di cui usiamo ogni giorno così distrattamente senza pensarci, in fondo non era che un francobollo. Ma questo francobollo non fu usato solamente per affrancare lettere e cartoline. Dopo il Natale di sangue, tra il 4 e il 13 gennaio 1921, i legionari lasciano Fiume e Giovanni Comisso così ne scrive:
“I legionari erano furenti contro il governo nazionale e nella rabbia si strappavano i distintivi dell’esercito italiano, al posto delle stellette si mettevano i francobolli di Fiume. In Italia nessuno si era mosso a nostro favore, i partiti che dapprima ci avevano dato assistenza nulla fecero per noi. Tutta l’Italia ci avrebbe lasciati trucidare. Le truppe che ci erano venute ad assalire nella vigilia di Natale erano state eccitate con premi e con bevande. Il governo di Roma approfittò delle feste natalizie durante le quali non sarebbero usciti i giornali per compiere tranquillamente l’operazione. Il Comandante dalla nostra radio fece trasmettere a tutto il mondo l’annuncio del sacrificio mentre si compiva“. (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso, 1951; pag. 111).
“Dico che a Fiume in quei giorni non ci si stava bene. La città viveva solo in piazza e in qualche caffè… Si continuò così a incollare sulle lettere francobolli con la testa del Comandante e a vedere nei negozi fotografie delle cinque giornate, a guardare le bandiere tricolori esposte alle finestre, in un’aria di aspettazione… Le prime notizie della votazione che risultava favorevole all’autonomia della città, le portò qualcuno con un sorriso storto e il viso livido… Un’automobile piombò sulla piazza, carica d’uomini, e ci si sforzò bene a guardare se quelle aste che portavano in mano erano fucili. Una donna, coi capelli al vento, in piedi tra tutti quei giovani, gridava un grido di guerra, e per quanto ci si sia abituati a vedere codeste cose nei simboli patriottici, tuttavia non si poté fare a meno di pensare al suo sesso che là in mezzo diveniva aspro e nuovo…
Nelle sale del palazzo dove eravamo entrati a chiedere la verità, v’era una folla di donne e di soldati vestiti da arditi. Una di quelle piangeva davanti a un tavolo da cui eran volate in terra le carte, e uno di codesti soldati gridava afferrandola tra le braccia: «Non piangere. Ci siamo qua noi»… Ma quando tentammo di parlare con un capo, un capitano siciliano, compreso dal suo ufficio, ci pregava di aspettare, dicendoci che la situazione era grave, che noi non potevamo telegrafare perché a Fiume c’era l’Italia, che Fiume era contro tutto il mondo, che tutti erano morti, che non esisteva più nulla e nessuno” (Corrado Alvaro, «Fiume 1921», in Roma vestita di nuovo, Milano, Bompiani, 1957; pp. 191-198).
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Così, in un francobollo trovo le storie dimenticate, gli sguardi e i gesti che non ebbero consacrazione di immagini e sono il sentimento di un’altra vita. Quei francobolli che presero il posto delle stellette come un amore quello del rancore.