D'AMICO Tano
(Filicudi, Isole Eolie 1942)
[1973-03-00-OP-03] La cancellata di Mirafiori
Luogo: Torino, Fiat Mirafiori
Editore: N. D.
Stampatore: N. D.
Anno: marzo 1973
Legatura: N. D.
Dimensioni: 18x24 cm.
Pagine: N. D.
Descrizione: fotografia originale in bianco e nero, titolata e firmata. Stampa di epoca successiva (1990) a cura dell'autore.
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 400ORDINA / ORDER
"Il 1973 segna una svolta importante nella storia del movimento proletario in Italia, e anche nella configurazione organizzativa della sinistra rivoluzionaria. L'evento centrale fu senza dubbio la conclusione drammatica della vertenza contrattuale, con l'occupazione della Fiat Mirafiori, che segnó l'episodio culminante dell'intero ciclo di lotte autonome iniziato nel '68. (...) Nel mese di marzo, a Torino, si creano le condizioni per dare la spallata finale alle resistenze padronali alla conclusione dell'accordo; la piattaforma sindacale chiedeva inquadramento unico, paritá di trattamento per quanto riguarda le ferie, settimana di 40 ore su cinque giorni (sabato libero), riduzione delle ore straordinarie obbligatorie. In marzo andava delineandosi un accordo insoddisfacente, ed il sindacato era sottoposto ad una intensa critica operaia. Gli operai della Fiat iniziarono forme di lotta autonome, fino a giungere, a metá del mese, a lanciare uno sciopero ad oltranza che in poco tempo si generalizzó a tutte le officine di Mirafiori, ed anche ad altre sezioni. Quotidianamente i cortei interni spazzolavano le officine, ma, nonostante questo, il 27 circoló la voce di un accordo inadeguato al numero di ore di sciopero (oltre 170) giá spese dagli operai. La mattina del 29 i gruppi rivoluzionari - in particolare Lotta Continua e Potere Operaio - si presentarono alle porte con dei volantini che rilanciavano lo sciopero ad oltranza. Ma quando gli operai entrarono, quella mattina, il clima era piú pesante del previsto. E, poco dopo l'entrata del turno, cominciarono ad arrivare fuori le notizie sul fatto che dentro si stava decidendo l'occupazione. Piú tardi, mentre «La Stampa» annunciava che era stato fatto l'accordo, gli operai venivano fuori a piantare le bandiere rosse sui cancelli. Le forme organizzative dell'occupazione rimasero per tutti misteriose, forse per gli stessi operai. Ma certamente lá dentro stava accadendo una cosa molto importante: la nuova composizione sociale degli operai portava dentro la fabbrica modelli di comportamento che piú nulla avevano a che fare con la tradizione del movimento comunista. Questi modelli di comportamento prendevano origine nella vita quotidiana dei proletari di nuova immissione. Non piú emigrati meridionali privi di radicamento nella metropoli, ma giovani torinesi e piemontesi scolarizzati, e formatisi nel clima delle lotte studentesche e delle esperienze aggregative di quartiere. L'occupazione di Mirafiori costituisce la prima manifestazione del proletariato giovanile in liberazione che costituirá il reticolo sociale portante delle lotte degli anni seguenti, fino all'esplosione del 1977. Nell'esperienza dell'occupazione di Mirafiori emerse la radicalitá di un rifiuto consapevole della prestazione lavorativa. (...) Nei giorni dell'occupazione Mirafiori era come una cittadella inespugnabile, e lo Stato si guardó bene dall'intervenire in qualsiasi modo. Peró quella cittadella era tutt'a un tratto inutile. Il padrone era piegato, gli operai avevano ribadito la loro estraneitá a qualsiasi accordo, pur imponendo un sostanziale passo in avanti su questioni fondamentali dell'egualitarismo (ferie, inquadramento, riduzione degli straordinari). (...) Le urla senza senso, senza piú slogan, senza piú minacce né promesse dei giovani operai con il fazzoletto rosso legato intorno alla fronte, i primi indiani metropolitani, quelle urla annunciavano che una nuova stagione si apriva per il movimento rivoluzionario in Italia. Una fase senza ideologie progressiste né fiducia nel socialismo, senza alcuna affezione per il sistema democratico, ma anche senza rispetto per i miti della rivoluzione proletaria, mostrava le sue prospettive. Fu in questo mutamento di scenario che prese forma il nuovo fenomeno politico-culturale dell'autonomia operaia (Primo Moroni e Nanni Balestrini, «L'orda d'oro»).