JAHIER Piero
[Pietro Paolo Jahier] (Genova 1884 - Firenze 1966)
Con me e con gli Alpini. Primo Quaderno
Luogo: Firenze
Editore: Libreria della Voce
Stampatore: Stabil. Tipog. A. Vallecchi - Firenze
Anno: 1919 [gennaio]
Legatura: brossura
Dimensioni: 20,2x13,8 cm.
Pagine: pp. 192 (2) - 24
Descrizione: copertina con titoli in verde su fondo bianco. Prose liriche e poesie. In appendice «Libreria della Voce [...] - Elenco delle opere più importanti» (Anno II n. 5-6 Ottobre-Dicembre 1918), catalogo di 24 pagine. Esemplare in ottimo stato di conservazione. Opera pubblicata a puntate sulla rivista RIVIERA LIGURE fra dicembre 1917 e gennaio 1918. Prima edizione in volume.
Bibliografia: AA.VV., «Dizionario generale degli autori contemporanei», Firenze, Vallecchi, 1974 (2 volumi): pag. 668
Prezzo: € 250ORDINA / ORDER
"Dall’esperienza di addestratore al Deposito di Belluno tra febbraio e luglio 1916 nasce Con me e con gli alpini, terminato nei giorni di Caporetto, pubblicato sulla rivista Riviera Ligure di Silvio Novaro a dicembre 1917/gennaio 1918 e in volume nel 1919. [...] La forma è quella di un diario/raccolta di frammenti ed impressioni, che spesso passano alla poesia; la prosa lirica che ingloba versi, sul modello di Rimbaud, è tipica dei «vociani», si pensi a Sbarbaro e a Campana; evidente è anche il modello biblico e salmistico, soprattutto nei tratti poetici, mentre la prosa è scarna e frammentata: «Chi pagherà le lacrime? chi rimedierà le afflizioni? Allora mi son risaliti i pensieri arretrati e così oppresso e diviso mi han tormentato; fino alla sentinella che si ferma al tuo arrivo e presenta l’arma alle tue stellette, anche se l’animo è tanto meschino». Condivisibile è il giudizio di Prezzolini: «Con me e con gli alpini è un libro d’amore per il popolo e di critica della sua classe dirigente. Il Jahier protestante, nel senso di dovere, c’è ancora tutto, a contrasto con i leggeri, i deboli, i finti, i potenti; a contrasto con i poveri, i semplici, gli umili. Il popolo italiano, i suoi dialetti, le sue qualità, i suoi mille lavori, le sue fatiche e gli stenti, sono rievocati e studiati con animo caldo e inneggiante» [...] Nei montanari veneti Jahier rivede i valdesi delle montagne piemontesi, vittime della modernità ma insieme portatori di una innocenza contrapposta alla città ed ai suoi vizi: «Ci sono dei visi di santi; usati soltanto dalla passione del lavoro. Guardano con occhi senza malizia, le iridi chiare della montagna dove la lotta è con l’elemento, non con l’uomo. Non sono scettici loro; sono forti: quello che credono lo potranno operare. [...] Mi sforzo di mettermi al loro livello, di farmi le loro vere obiezioni. Ma ecco scopro che salgo di livello io, che proprio io divento più vero». Jahier, cittadino e montanaro, si distacca dai colleghi ufficiali, si identifica con i soldati: «Criticano perché assaggio ogni marmitta di rancio. E non una volta sola. Sarà ostentazione. La spesa è pur sempre uguale. Ma nessun rancio è uguale, se pure è uguale la spesa. Disuguale di sale, disuguale di cottura: e lo sa valutare il soldato che mangia rancio solo, che ha il fresco appetito di tutto il corpo e non appetito di stomaco, come il borghese viziato». Il passo più celebre, riportato nelle antologie anche oggi, è dedicato al soldato Somacal Luigi: «Il soldato Somacal Luigi da Castion recluta dell’84, 3 categoria era stato cretino dalla nascita e manovale fino alla chiamata. Cretino vuol dir trascurato da piccolo, denutrito, inselvatichito. Manovale vuol dir servo operaio, mestiere sprezzato. Il suo lavoro consisteva in nulla essere tutto fare. Ne porta i segni il corpo presentato alla visita militare. Somacal ha offerto alla patria un fardello di ossa tribolate in posizione di manovale». Il suo tenente non ha riso quando l’ha guardato; anzi ha detto che un soldato non conta per quel che l’han fatto i suoi parenti, ma per quello che sa diventare. […] «Ecco il mio amico Somacal che ha fatto trenta» dice il tenente. Dice proprio amico. Amico, lo chiama, anche dopo. Perché anche lui ha cercato come Somacal di imparare la vita. […] Ma Somacal resta alpino. Non per la patria. Somacal non saprà mai cos’è patria. Ma perché si sente in un’aria buona. Vorrebbe rimanere in quell’aria buona fino alla fine. Vorrebbe sentirsi ripetere che è il suo amico. Purché lo dica ancora: sei il mio amico. Certo, Somacal, soldato stronco, uomo zimbello, sei il mio amico. Ho trovato vicino a te l’onore d’Italia. Dico che è in basso l’onore d’Italia, Somacal Luigi»" (Paolo Lamberti, «Piero Jahier o il sacrificio dell’alpino», in: MARGUTTE Non-rivista online di letteratura e altro, 23 aprile 2023).

"Domanda angosciosa che torna quando vi guardo e voi non potete sapere: Perché alcuni son chiamati a lavorare e guadagnar sulla guerra, e altri a morire? Morire non ha equivalente di sacrificio; morire è un valore assoluto. Se la guerra ha un valore morale: rieducare alla salute, alla mansuetudine, alla giustizia, attraverso il passaggio nella pena della privazione e distruzione, perché sopra tutto debbon portarne il peso questi che erano nella privazione e nella mansuetudine, e non desideravano più che la salute?" (pag. 85).