JEFFERS Robinson
[John Robinson Jeffers] (Allegheny City, Pennsylvania 1887 - Carmel-by-the-Sea, California 1962)
Campofame. Disegni di Andrea Pazienza [Hungerfield]
Luogo: Castiglione del Lago, Perugia
Editore: Edizioni Di
Stampatore: Litoart - Città di Castello
Anno: 2001 (settembre)
Legatura: legatura editoriale cartonata illustrata
Dimensioni: 28,5x21,5 cm.
Pagine: pp. 44 (4) compresa la copertina
Descrizione: Volume interamente illustrato a colori con disegni di Andrea Pazienza. In appendice i disegni eseguiti per l'opera di Moreno B. Miorelli «Tre canti». Allegato editorialmente: Moreno B. Miorelli, «Tre canti», 20,8x14,5 cm., pp. 47 (1). In appendice un testo testimonianza di Moreno Miorelli. I tre disegni alle pp. 2/3, 39 e 41 sono inediti. Prima edizione in volume.
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 80ORDINA / ORDER
«Hungerfield» di Robinson Jeffers è un poema della raccolta «Hungerfield and Other Poems», (Random House, 1954). La prima edizione italiana, a cura Mary de Rachewiltz; è «Campofame» , Bologna, Edizioni del Segnacolo, 1963 con disegni di Renato Guttuso. Il libro di Moreno B. Miorelli, illustrato da Andrea Pazienza, viene pubblicato per la prima volta njel 1988 (Udine, Campanotto).

"Campofame è la storia di un uomo che combatte la morte, le strappa via la gola. Uccisa la morte e salvata la madre, Alcmena, l’assassino liberatore fa i conti con le malattie prolungate, con le guerriglie periferiche profetiche, con carestie, tradimenti. Uccisa la morte, uomini e bestie la invocano. Campofame beve, Alcmena impazzisce, lo accusa di averla trascinata indietro, di farle strabuzzare gli occhi sulla sua miseria di vecchia salvata. Voleva essere sommersa e le tocca un figlio strangolatore dell’angelo della morte. Campofame risponde. Dice che se un dio c’è, è neutrale, a lui non importa. Lui ha le stelle" (Marco Lupo).

"Un giorno entrammo in casa, rimbambiti da ore di vento. Misi sul piatto del giradischi un ellepì in cui Carmelo Bene, il comeluipugliese, recitava Majakovskj, Pasternak, Blok, Esenin, resuscitandoli per un bel po' di tempo ancora. «Quel giorno tutta / dai pettini ai piedi...». E lui finì sul pavimento. Andrea Pazienza prese ad amare la poesia russa del Novecento con una gioia e un dolore del tutto fisici... La poesia russa del Novecento per darsi un tono urla sempre al suo «Domani»!. La verità è che gronda di morte. La stessa dei poemi di Jeffers. La stessa del mito di Orfeo... Come per gli antichi, la morte, per Andrea, era una divnità, non un demone. Un annullamento apparente, che colma di senso e dà dignità a ogni singola esistenza. Né bene né male. Priva di dualità. Quanto di più prossimo all'idea del Sacro... Intendiamoci. Andrea non adorava la morte. La rispettava... Seppi della scomparsa di Andrea il giorno dopo... I russi, Robinson Jeffers, il mito di Orfeo, ponevano Andrea, in forma diretta, di fronte al gran mistero. Per questo le lacrime erano per lui la reazione istintiva, immediata. Chi l'ha veduto durante e dopo l'ascolto di un poema gettarsi a terra, piangendo, capace solo di ripetere «Questo! Questo!» non si chiede più, se mai se l'è chiesto, se la poesia ha o non ha un senso oggi. Va benissimo che si certifichi che non ne ha alcuno. A questa reazione faceva seguito il bisogno di trasferire quell'incontro sulle tavole... I giovani presero subito ad amarlo. Ognuno aveva, ha, pezzi di sé nelle storie disegnate da Andrea. Facendo fumetti lui, ora la dico grossa!, lavorava con gli archetipi, che tutti ci riguardano. Per questo era, è un poeta.I fatti contingenti che narrava erano solo la copertura di vicende interiori che riguardano gli Assiri, noi e i nostri propronipoti. Forse per questo il primo sentimento non è mai di ammirazione, di fronte ai suoi pur sorprendenti lavori, ma si viene investiti da emozione. Qualche cosa ha attraversato il filtro polveroso della testa ed è precipitato giù verso le viscere... Cosa c'è per ogni potere di più scomodo al mondo di una cosa così? Per questo i terroristi vengono amnistiati e i poeti uccisi... Istintivamente Andrea riconosceva che la grandezza di ogni vivente è data dalla propria infinitesima piccolezza: dal vivere sapendo che comunque non ne usciremo vivi... Per questo ogni creatura era per lui una potenziale miniera mitologica...Andrea Pazienza è stato tutta la sua vita e anche quella di chi incrociava... E' dispendioso essere tutto ciò che si incontra ma dentro di sé, lui, doveva ben sentire che, alla fine dei propri giorni, ognuno di noi reca con sé solo ciò che ha donato" (Moreno Miorelli, pp. 37/44).