MONDO BEAT
Mondo Beat - Anno I n. 2
Luogo: Milano
Editore: N. D.
Stampatore: Tecnografica Milanese
Anno: 15 marzo 1967
Legatura: N. D.
Dimensioni: 1 fascicolo 34x24,5 cm.
Pagine: pp. 12
Descrizione: prima e quarta di copertina illustrate con unica composizione grafica di Gio Tavaglione [non firmata] costituita da immagini fotografiche in nero su fondo arancio e titolata «L'Italia dei nostri padri se ne va. Italia addio!». Varie illustrazioni fotografiche in bianco e nero n.t. Esemplare in ottimo stato di conservazione, non piegato, con lieve mancanza al margine alto destro della copertina senza lesione di immagini o testi, come da immagine. Quarto numero pubblicato. Edizione originale.
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 450ORDINA / ORDER
Rivista diretta da Melchiorre Gerbino (Calatafimi, 1940 - 2024), di cui uscirono complessivamente 7 numeri e 1 poster dal novembre 1966 al 31 luglio 1967 (n. 0 - n. 00 - Anno I: nn. 1 - 2 - 3 - 4 - 5; poster «Movimento Mondo Beat», ED.912, aprile 1967).
Elenco dettagliato degli articoli: Renzo Freschi «La squola»; Livio Cafici «Gli odiosamati» e «I santini sono più legali di Mondo beat?»; Enrico, «Il Corriere e i Beats»; Marco Maria Sigiani «Da Berkeley a noi. Una proposta per il movimento studentesco e la riforma della scuola»; Anonimo, «Cosa accade a piazza di Spagna? Cosa accade»; Claudio [Pitschen], «Sentieri» [poesia]; Cecilia, «Ma chi sono?»; Carlo Masi «La libertà sessuale»; Monica Maimone «Lettera aperta a Mondo beat»; [Marco Maria Sigiani], «Finalmente eliminati i problemi dell’umanità (frammento di un poema epico del XX secolo)»; Etra Occhialini, «Cronaca politica;» Agor [Antonio] Pilati, «Di privato non abbiamo più che il gabinetto, la memoria, l’onanismo e la morte».
Così Melchiorre Gerbino, tra i fondatori di MONDO BEAT, descrive la nascita della rivista: "Preso in una retata di provos ad Amsterdam e deportato in Italia sbarcò a Linate, il 12 ottobre 1966, Vittorio Di Russo. Io, che mi trovavo allora a Milano, appresi la notizia da un quotidiano e andai a cercarlo, lo trovai, e tre giorni dopo il suo arrivo, il 15 ottobre 1966, con lui e Umberto Tiboni fondai il Movimento e la Rivista «Mondo Beat». Vittorio Di Russo e io c'eravamo conosciuti e frequentati nella prima metà degli anni '60 nell'underground della Città Vecchia di Stoccolma e lì io conobbi pure la mia compagna svedese Gunilla Unger, che sarebbe stata il punto di riferimento delle prime ragazze italiane che aderirono a Mondo Beat. Al momento della fondazione, Vittorio Di Russo, Umberto Tiboni e io concepimmo Mondo Beat come movimento anarchico non-violento, essendo i tre dichiaratamente anarchici: era nella mutazione della non-violenza che ci distinguevamo dagli anarchici tradizionali, che avevano ucciso i re, ed era in questa mutazione della non-violenza che La Contestazione, nata da Mondo Beat, avrebbe trovato denominatore comune generazionale con i Provos olandesi e con la Beat generation americana, ma ovviamente La Contestazione ebbe un suo percorso e una sua fisionomia del tutto originali, perché La Contestazione si confronto' con la realtà italiana prima, poi con la francese. Che Mondo Beat e La Contestazione siano stati di stampo anarchico é chiaro come la luce del sole: basti solo pensare che il primo colpo di manovella di ciclostile al primo numero della Rivista «Mondo Beat» lo diede Giuseppe Pinelli nella sezione anarchica Sacco e Vanzetti di Milano, dove fu pure offerta a «Mondo Beat» la carta per la stampa. Quando fu stampato il primo numero di «Mondo Beat», Giuseppe Pinelli, Vittorio Di Russo, Umberto Tiboni e io avevamo letto di Jack Kerouac, per citare il personaggio più carismatico della beat generation americana, quanto Jack Kerouac aveva letto di noi: niente!" (testo tratto da una email del 5 gennaio 2011 indirizzata da Melchiorre Gerbino, a L'Arengario Studio Bibliografico di Paolo e Bruno Tonini).
"I primi due numeri – il n. 0 e il n. 00 – vengono stampati in ciclostile e presentano in copertina la dicitura «numero unico», solitamente utilizzata dalle riviste underground per aggirare la legge sull’autorizzazione alla stampa. Il primo numero viene stampato grazie all’aiuto di Giuseppe Pinelli nella sezione anarchica Sacco e Vanzetti di Milano, a conferma della vicinanza tra i movimenti anarchici e gli ambienti beat; la sede della redazione è indicata sotto la statua di Vittorio Emanuele in piazza Duomo, luogo di ritrovo dei beatnik milanesi. Sul n. 00 compare il comunicato di fusione con Onda verde, gruppo provo milanese composto tra gli altri da Andrea Valcarenghi, Marco Maria Sigiani e Antonio Pilati. All’inizio del ’67 Gerbino ottiene l’autorizzazione dal tribunale e diventa direttore responsabile della testata, contestualmente Tiboni affitta un fondo in via Montenero 37, che diventa la sede ufficiale della redazione. Il primo marzo del 1967 esce il n. 1 della rivista, il primo munito di autorizzazione e pubblicato a stampa in migliaia di copie. «Mondo beat» si propone in questo numero come giornale unitario dei movimenti beat e provo milanesi, ma anche come organo di collegamento tra i vari gruppi operanti in Italia, e pubblica un manifesto programmatico intitolato «Metodologia provocatoria», nel quale il metodo della provocazione non violenta, ripreso dai Provo olandesi, viene dichiaratamente adottato assieme alla pratica dei Piani bianchi dedicati ai diritti civili, e indicato come elemento unificatore tra le varie anime del movimento. Il numero viene immediatamente sequestrato dalla questura a causa delle parole, ritenute oscene, dell’articolo di uno studente liceale, Renzo Freschi, intitolato «La squola la squola la squola»; in seguito verranno arrestati i ragazzi che distribuivano il giornale per le strade per la mancanza di autorizzazione alla vendita. L’episodio rappresenta uno dei tanti momenti di scontro con polizia e magistratura che finiscono per occupare le pagine della rivista, impegnata a difendersi e a difendere il movimento da accuse mendaci e da una violenta campagna denigratoria messa in moto dai quotidiani, in primo luogo dal «Corriere della sera», così come a denunciare gli abusi e la violenta repressione della polizia, alla quale i giovani beat rispondono con lo sciopero della fame e manifestazioni non violente lanciate proprio dalle pagine della rivista. Si veda in proposito il duro attacco al «Corriere» che apre il n. 3 e l’esposto indirizzato alla procura e ai ministeri contro la violenza della polizia comparso a chiusura dello stesso numero. Quando nel gennaio del ’67 Di Russo lascia Milano la direzione del giornale viene gestita da Gerbino e Tiboni, fino all’arrivo in città di Gianni De Martino, che diventa capo redattore a partire dal n. 3, il quinto della rivista. L’organigramma di «Mondo beat», stante una divisione dei ruoli molto fluida e una collaborazione aperta a tutti, vede la partecipazione costante di molti autori, tra cui Gunilla Unger e Tella Ferrari – che di fatto compongono la redazione assieme ai direttori – e dei membri di Onda verde, oltre che un gruppo nutrito di collaboratori «irregolari”»; buona parte delle firme comparse in rivista rimane sostanzialmente anonima per i lettori – indicate unicamente dal nome o dal soprannome, come nel caso di Cina, Adriano, Tella, Enrico, etc. -, ma spesso le loro identità rimangono sconosciute agli stessi membri del gruppo. A conferma della funzione di raccordo tra i le varie voci del movimento che la rivista si prefigge di svolgere compaiono anche interventi, documenti e testi letterari di beatnik di tutta Italia tra i quali Gianni Milano, che a Torino cura le edizioni di poesia beat Pitecantropus, Carlo Silvestro, poeta romano membro di Provo Roma Uno, e il Beatnik’s clan di Monza, che pubblica la sua «Lettera al Partito» sul n. 00; accanto alle esperienze italiane vi sono diversi resoconti e testimonianze della situazione internazionale provenienti in particolare dal movimento pacifista. La sede della rivista in via Montenero, conosciuta come la “cava”, diventa immediatamente meta e rifugio di un numero sempre crescente di adolescenti scappati di casa e dalle loro famiglie, di globetrotter di varia provenienza, ma anche di sottoproletari immigrati dal Sud e in generale di persone che vivono ai margini della società; gli spazi della redazione si rivelano presto insufficienti a contenere il numero dei frequentatori, così che i redattori si decidono ad affittare un campo nei pressi di via Ripamonti che diventerà la sede di un grande campeggio noto alle cronache con il soprannome di Barbonia City, luogo simbolo del movimento beat italiano, dove per pochi mesi lavorerà la stessa redazione, fino allo sgombero forzato del 12 giugno 1967" [Giovanna Lo Monaco, «Mondo Beat», in: «Alle due sponde della cortina di ferro: le culture del dissenso e la definizione dell’identità europea nel secondo Novecento tra Italia, Francia e URSS (1956-1991)», Università degli Studi di Firenze, 2017/2019, https://www.culturedeldissenso.com/).
Elenco dettagliato degli articoli: Renzo Freschi «La squola»; Livio Cafici «Gli odiosamati» e «I santini sono più legali di Mondo beat?»; Enrico, «Il Corriere e i Beats»; Marco Maria Sigiani «Da Berkeley a noi. Una proposta per il movimento studentesco e la riforma della scuola»; Anonimo, «Cosa accade a piazza di Spagna? Cosa accade»; Claudio [Pitschen], «Sentieri» [poesia]; Cecilia, «Ma chi sono?»; Carlo Masi «La libertà sessuale»; Monica Maimone «Lettera aperta a Mondo beat»; [Marco Maria Sigiani], «Finalmente eliminati i problemi dell’umanità (frammento di un poema epico del XX secolo)»; Etra Occhialini, «Cronaca politica;» Agor [Antonio] Pilati, «Di privato non abbiamo più che il gabinetto, la memoria, l’onanismo e la morte».
Così Melchiorre Gerbino, tra i fondatori di MONDO BEAT, descrive la nascita della rivista: "Preso in una retata di provos ad Amsterdam e deportato in Italia sbarcò a Linate, il 12 ottobre 1966, Vittorio Di Russo. Io, che mi trovavo allora a Milano, appresi la notizia da un quotidiano e andai a cercarlo, lo trovai, e tre giorni dopo il suo arrivo, il 15 ottobre 1966, con lui e Umberto Tiboni fondai il Movimento e la Rivista «Mondo Beat». Vittorio Di Russo e io c'eravamo conosciuti e frequentati nella prima metà degli anni '60 nell'underground della Città Vecchia di Stoccolma e lì io conobbi pure la mia compagna svedese Gunilla Unger, che sarebbe stata il punto di riferimento delle prime ragazze italiane che aderirono a Mondo Beat. Al momento della fondazione, Vittorio Di Russo, Umberto Tiboni e io concepimmo Mondo Beat come movimento anarchico non-violento, essendo i tre dichiaratamente anarchici: era nella mutazione della non-violenza che ci distinguevamo dagli anarchici tradizionali, che avevano ucciso i re, ed era in questa mutazione della non-violenza che La Contestazione, nata da Mondo Beat, avrebbe trovato denominatore comune generazionale con i Provos olandesi e con la Beat generation americana, ma ovviamente La Contestazione ebbe un suo percorso e una sua fisionomia del tutto originali, perché La Contestazione si confronto' con la realtà italiana prima, poi con la francese. Che Mondo Beat e La Contestazione siano stati di stampo anarchico é chiaro come la luce del sole: basti solo pensare che il primo colpo di manovella di ciclostile al primo numero della Rivista «Mondo Beat» lo diede Giuseppe Pinelli nella sezione anarchica Sacco e Vanzetti di Milano, dove fu pure offerta a «Mondo Beat» la carta per la stampa. Quando fu stampato il primo numero di «Mondo Beat», Giuseppe Pinelli, Vittorio Di Russo, Umberto Tiboni e io avevamo letto di Jack Kerouac, per citare il personaggio più carismatico della beat generation americana, quanto Jack Kerouac aveva letto di noi: niente!" (testo tratto da una email del 5 gennaio 2011 indirizzata da Melchiorre Gerbino, a L'Arengario Studio Bibliografico di Paolo e Bruno Tonini).
"I primi due numeri – il n. 0 e il n. 00 – vengono stampati in ciclostile e presentano in copertina la dicitura «numero unico», solitamente utilizzata dalle riviste underground per aggirare la legge sull’autorizzazione alla stampa. Il primo numero viene stampato grazie all’aiuto di Giuseppe Pinelli nella sezione anarchica Sacco e Vanzetti di Milano, a conferma della vicinanza tra i movimenti anarchici e gli ambienti beat; la sede della redazione è indicata sotto la statua di Vittorio Emanuele in piazza Duomo, luogo di ritrovo dei beatnik milanesi. Sul n. 00 compare il comunicato di fusione con Onda verde, gruppo provo milanese composto tra gli altri da Andrea Valcarenghi, Marco Maria Sigiani e Antonio Pilati. All’inizio del ’67 Gerbino ottiene l’autorizzazione dal tribunale e diventa direttore responsabile della testata, contestualmente Tiboni affitta un fondo in via Montenero 37, che diventa la sede ufficiale della redazione. Il primo marzo del 1967 esce il n. 1 della rivista, il primo munito di autorizzazione e pubblicato a stampa in migliaia di copie. «Mondo beat» si propone in questo numero come giornale unitario dei movimenti beat e provo milanesi, ma anche come organo di collegamento tra i vari gruppi operanti in Italia, e pubblica un manifesto programmatico intitolato «Metodologia provocatoria», nel quale il metodo della provocazione non violenta, ripreso dai Provo olandesi, viene dichiaratamente adottato assieme alla pratica dei Piani bianchi dedicati ai diritti civili, e indicato come elemento unificatore tra le varie anime del movimento. Il numero viene immediatamente sequestrato dalla questura a causa delle parole, ritenute oscene, dell’articolo di uno studente liceale, Renzo Freschi, intitolato «La squola la squola la squola»; in seguito verranno arrestati i ragazzi che distribuivano il giornale per le strade per la mancanza di autorizzazione alla vendita. L’episodio rappresenta uno dei tanti momenti di scontro con polizia e magistratura che finiscono per occupare le pagine della rivista, impegnata a difendersi e a difendere il movimento da accuse mendaci e da una violenta campagna denigratoria messa in moto dai quotidiani, in primo luogo dal «Corriere della sera», così come a denunciare gli abusi e la violenta repressione della polizia, alla quale i giovani beat rispondono con lo sciopero della fame e manifestazioni non violente lanciate proprio dalle pagine della rivista. Si veda in proposito il duro attacco al «Corriere» che apre il n. 3 e l’esposto indirizzato alla procura e ai ministeri contro la violenza della polizia comparso a chiusura dello stesso numero. Quando nel gennaio del ’67 Di Russo lascia Milano la direzione del giornale viene gestita da Gerbino e Tiboni, fino all’arrivo in città di Gianni De Martino, che diventa capo redattore a partire dal n. 3, il quinto della rivista. L’organigramma di «Mondo beat», stante una divisione dei ruoli molto fluida e una collaborazione aperta a tutti, vede la partecipazione costante di molti autori, tra cui Gunilla Unger e Tella Ferrari – che di fatto compongono la redazione assieme ai direttori – e dei membri di Onda verde, oltre che un gruppo nutrito di collaboratori «irregolari”»; buona parte delle firme comparse in rivista rimane sostanzialmente anonima per i lettori – indicate unicamente dal nome o dal soprannome, come nel caso di Cina, Adriano, Tella, Enrico, etc. -, ma spesso le loro identità rimangono sconosciute agli stessi membri del gruppo. A conferma della funzione di raccordo tra i le varie voci del movimento che la rivista si prefigge di svolgere compaiono anche interventi, documenti e testi letterari di beatnik di tutta Italia tra i quali Gianni Milano, che a Torino cura le edizioni di poesia beat Pitecantropus, Carlo Silvestro, poeta romano membro di Provo Roma Uno, e il Beatnik’s clan di Monza, che pubblica la sua «Lettera al Partito» sul n. 00; accanto alle esperienze italiane vi sono diversi resoconti e testimonianze della situazione internazionale provenienti in particolare dal movimento pacifista. La sede della rivista in via Montenero, conosciuta come la “cava”, diventa immediatamente meta e rifugio di un numero sempre crescente di adolescenti scappati di casa e dalle loro famiglie, di globetrotter di varia provenienza, ma anche di sottoproletari immigrati dal Sud e in generale di persone che vivono ai margini della società; gli spazi della redazione si rivelano presto insufficienti a contenere il numero dei frequentatori, così che i redattori si decidono ad affittare un campo nei pressi di via Ripamonti che diventerà la sede di un grande campeggio noto alle cronache con il soprannome di Barbonia City, luogo simbolo del movimento beat italiano, dove per pochi mesi lavorerà la stessa redazione, fino allo sgombero forzato del 12 giugno 1967" [Giovanna Lo Monaco, «Mondo Beat», in: «Alle due sponde della cortina di ferro: le culture del dissenso e la definizione dell’identità europea nel secondo Novecento tra Italia, Francia e URSS (1956-1991)», Università degli Studi di Firenze, 2017/2019, https://www.culturedeldissenso.com/).