ALERAMO Sibilla
[Marta Felicina "Rina" Faccio] (Alessandria 1876 - Roma 1960)
Momenti. Liriche
Luogo: Firenze
Editore: Bemporad & Figlio Editore
Stampatore: Tipografia L'Arte della Stampa Successori Landi - Firenze
Anno: 1921 (ma copyright 1920)
Legatura: brossura
Dimensioni: 17,2x12 cm.
Pagine: pp. 174 - 17 (3)
Descrizione: copertina illustrata con fregio in nero e rosso, e un ritratto fotografico dell'autrice in bianco e nero f.t. protetto da velina. Titoli, capilettera e fregi stampati in rosso. Con una appendice di giudizi critici titolata «La scrittrice più discussa dell'ultimo ventennio». Conservata la fascetta editoriale: "L'Illustre romanziera di «Una donna» e del «Passaggio» si rivela in questa raccolta di liriche amorose come poetessa di tempra squisita e ardita, piena di fascino". Prima raccolta di versi dell'autrice. Esemplare con lievi bruniture, e smarginature alle estremità del dorso, in buone condizioni di conservazione. Prima edizione.
Bibliografia: AA.VV., «Dizionario generale degli autori contemporanei», Firenze, Vallecchi, 1974: pag. 20
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Tra la fine dell'Ottocento e gli anni Venti del Novecento, Sibilla Aleramo è, tra le scrittrici, quella più coinvolta nel movimento femminista, da cui si discosta solo per rivendicare all'estremo la propria diversità e irriducibilità al mondo che il maschio ha costruito a propria immagine e somiglianza. Dal matrimonio cosiddetto "di convenienza" con l'uomo che l'aveva violentata, attraverso la scelta di abbandonarlo rinunciando a vedere il figlio, la depressione, le relazioni amorose con artisti, scrittori e poeti (tra cui i più appassionati e distruttivi furono Julius Evola e Dino Campana), l'adesione al fascismo e poi, nel dopoguerra al partito comunista, Sibilla Aleramo rimase fedele solamente a se stessa, senza pentimenti o infingimenti, fino alla morte dopo una lunga malattia, in povertà e ristrettezze: "...speranza di due braccia accoglienti, / un nome ancora da invocare, / morte, madre, sorella, amata, / una che mi prenda, una che mi voglia..." (da «Morte, m'hai sentita?», pag. 63).

"Son tanto brava lungo il giorno. / Comprendo, accetto, non piango. / Quasi imparo ad aver orgoglio quasi fossi un uomo. / Ma, al primo brivido di viola in cielo, / ogni diurno sostegno dispare. / Tu mi sospiri lontano: «Sera, sera dolce e mia!» / Sembrami d'aver fra le mie dita la stanchezza di tutta la terra. / Non son più che sguardo, sguardo sperduto, e vene" («Son tanto brava», pag. 43).

"Eccoci ! / Facci posto / oh sole! / A noi due / e ad una rosa. / Fra l mio seno / e il petto forte che amo / sta una rosa, / sola. / Oh sole, / la rosa vuol morire, / e noi / vogliam la sua agonia / tutta con nostra gioia / consacrare. / Facci posto! / Ecco, / insieme avvinti, che la rosa non cada, / guizziamo nella tua zona, / nudilunghi, / a terra, / avvinghiati, / e la rosa / non ti sente, ma noi / ma noi / da te percorsi / meravigliamo / come una lunga landa / che il tuo raggio / mai prima / conosciuto avesse. / Interi ci percorri, / solo la rosa / non ti sente / fra il madore del mio seno / e il calore dolce / del petto che amo. / Grande aperta rosea / si sente morire, / si sente felice, / si sfoglia, / ogni foglia / rorida molle, / vagola, / ci bacia, / premuta, / bruciata, / oh sole che ci accogli!" («La rosa», pp. 23-25).