DE LIBERO Libero
(Fondi, Latina 1906 - Roma 1981)
Lettere a Mario Cerroni. A cura di Paolo Tonini
Luogo: Gussago
Editore: Edizioni dell'Arengario
Stampatore: Tip. Vannini - Brescia
Anno: 1999 (21 giugno)
Legatura: brossura
Dimensioni: 19,4x12,5 cm.
Pagine: pp. 79 (1)
Descrizione: copertina illustrata con un autoritratto di Libero De Libero in nero su fondo giallo. Riproduzione del manoscritto inedito autografo in 26 tavole in bianco e nero n.t. e trascrizione a fronte. Prefazione di Paolo Tonini. Tiratura complessiva di 300 esemplari. Prima edizione.
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 40ORDINA / ORDER
Colophon: "Il manoscritto originale autografo, costituito da sette lettere di Libero De Libero e una di Mario Cerroni, per un totale di dodici fogli manoscritti e uno dattiloscritto, tutti riprodotti nelle XXVI tavole del testo, è allegato all'esemplare contrassegnato dal n. 1 e firmato dagli editori, rilegato in mezza pelle e contenuto in una speciale custodia realizzata dalla Legatoria Ferraboli di Brescia".

"Le lettere di Libero de Libero qui pubblicate per la prima volta, sono indirizzate al poeta e militante comunista Mario Cerroni (Poggio Mirteto 1921 - Udine 1957). Redatte in un arco di tempo che va dal 10 luglio 1951 al 3 giugno 1952, testimoniano di un breve ma intenso carteggio sul significato e le ragioni della poesia iniziato all'insegna dell'amicizia e concluso con la dichiarazione di un definitivo distacco. Da una parte il poeta riconosciuto ancorché schivo, dall'altra il giovane promettente, desideroso di emergere. Lo sfondo è quello delle polemiche sul realismo, l'impegno degli intellettuali, le riviste letterarie, la moda, anche, letteraria come è il caso di Pablo Neruda. Ma quello che avrebbe dovuto essere un dialogo si presenta fin dall'inizio come un monologo, e non soltanto per l'intransigenza di de Libero che si rifiuta di giudicare i versi altrui. Insieme alle sue sette lettere ce n'è una di Cerroni, perché rinviata al mittente. Lettera significativa di una lontananza che de Libero gioca con raffinato disincanto, ma amaramente, per la difficoltà di ottenere una semplice amicizia, e perché pare ancora una volta impossibile socchiudere l'uscio della propria solitudine, poter cedere a una rara corrispondenza che sia libera da emergenze letterarie. Le esortazioni al ben fare poetico, e le frasi attentamente distillate (alcune ricopiate dai propri diari come nella lettera del 28 agosto 1951), non possono trovare eco in un giovane votato a una causa che lo coinvolge insieme a molti: patriottismo, popolarismo, realismo sono parole assai più entusiasmanti. De Libero parla di sé a un amico che non c'era e forse non c'è, ma che sempre è possibile. La sua refrattarietà, l'orgoglio e l'abitudine a essere e a vivere solo ne fanno un «feroce gatto nella giungla di se stesso», non vuole essere un maestro, né suscitare entusiasmi. La grafia ordinata, confinato nella sua poesia, in quella che lui chiama la sua salvezza, egli cerca di arrivare al cuore di un amico venturo. E ci parla ancora oggi così" (dalla Prefazione).