D'AMICO Tano
(Filicudi, Isole Eolie 1942)
[1973-07-00-CC-04] Fuori da Rebibbia in rivolta
Luogo: Roma, carcere di Rebibbia
Editore: N. D.
Stampatore: N. D.
Anno: 1973 [giugno]
Legatura: N. D.
Dimensioni: 18x24 cm.
Pagine: N. D.
Descrizione: fotografia originale datata, titolta e firmata. Stampa di epoca successiva a cura dell'autore (ca. 1990).
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 400ORDINA / ORDER
"Nella notte tra sabato 16 e domenica 17 giugno 1973 scoppia la rivolta nel carcere di Rebibbia, un istituto di pena inaugurato appena un anno prima. Centinaia di detenuti prendono il controllo fino all’alba dei «bracci» e della «rotonda» centrale. I rivoltosi staccato mobilio e suppellettili dalle loro celle per innalzare barricate davanti ai cancelli d’ingresso dei reparti. Alle prime luci del giorno la protesta si placa, i reclusi rientrano nelle celle ma dopo alcune ore di apparente calma all’inizio del pomeriggio della domenica riprendono la protesta. Un gruppo di detenuti del G8 dopo l’aria rifiuta di entrare nelle celle e raggiunge il tetto del carcere. Sono una cinquantina a riaccendere la rivolta che si estende agli altri raggi e viene subito ripresa nel resto delle carceri italiane: Cagliari, Marassi, san Gimignano e poi nelle settimane successive a macchia d’olio negli istituti di pena del Sud come nel Nord" («Archivio Unità» di Paolo Persichetti, 31 maggio 2023).
"Una domenica del 1973, davanti al cinema Farnese di Campo De Fiori un cartello avvisava che era in corso una rivolta nel carcere di Rebibbia. Insieme ad altri compagni con i quali condividevo la militanza nel quartiere di S. Basilio, adiacente a Rebibbia e serbatoio continuo delle sue celle, arrivammo davanti al carcere dal lato della Tiburtina e prendemmo una bella carica delle polizia che non gradiva la presenza di persone che salutavano da lontano i detenuti saliti sui tetti di uno dei più moderni istituti penitenziari. Il giorno dopo, con migliaia di compagni e tantissimi cittadini delle diverse borgate di Roma, tornammo sotto il carcere per sostenere quei detenuti che anche qui a Roma avevano osato sfidare la più totalizzante delle Istituzioni per chiedere niente altro che dei provvedimenti realmente riformatori contro la violenza e la stupidità del carcere. Anche in quell'occasione le forze dell'ordine provarono a caricare ma il risultato fu esattamente opposto alla sera precedente. Con la loro protesta, parte integrante di un mix di proteste pacifiche e non pacifiche che da quattro anni si succedevano nelle carceri maschili e femminili, quei detenuti ponevano fine ad un estenuante dibattito sul Diritto penale, la pena, la loro funzione, ecc. che in Italia andava avanti da almeno settant'anni senza risultati significativi sul piano della reale difesa della vita e della dignità delle persone detenute. E, cosa ancora più importante, con le loro proteste "i dannati della terra" italiani finivano di essere considerati esclusivamente come "sottoproletariato" ed entravano nei fatti in quell'ampio e variegato conflitto di classe che da anni attraversava il paese e dal quale emergevano richieste di mutamenti radicali in ogni ambito della vita sociale e politica. Questo legame costituì la principale spinta propulsiva che impose la riforma dell'Ordinamento penitenziario del luglio 1975. I detenuti pagarono veramente con il sangue (nel senso letterale del termine) le loro aspirazioni e soltanto grazie al loro sacrificio fu valorizzato anche il decennale impegno di tante intelligenze sinceramente riformiste" (Vittorio Antonini, "Violenza e stupidità del carcere all'origine della riforma del 1975" LIBERAZIONE, 27 luglio 2005).
"Una domenica del 1973, davanti al cinema Farnese di Campo De Fiori un cartello avvisava che era in corso una rivolta nel carcere di Rebibbia. Insieme ad altri compagni con i quali condividevo la militanza nel quartiere di S. Basilio, adiacente a Rebibbia e serbatoio continuo delle sue celle, arrivammo davanti al carcere dal lato della Tiburtina e prendemmo una bella carica delle polizia che non gradiva la presenza di persone che salutavano da lontano i detenuti saliti sui tetti di uno dei più moderni istituti penitenziari. Il giorno dopo, con migliaia di compagni e tantissimi cittadini delle diverse borgate di Roma, tornammo sotto il carcere per sostenere quei detenuti che anche qui a Roma avevano osato sfidare la più totalizzante delle Istituzioni per chiedere niente altro che dei provvedimenti realmente riformatori contro la violenza e la stupidità del carcere. Anche in quell'occasione le forze dell'ordine provarono a caricare ma il risultato fu esattamente opposto alla sera precedente. Con la loro protesta, parte integrante di un mix di proteste pacifiche e non pacifiche che da quattro anni si succedevano nelle carceri maschili e femminili, quei detenuti ponevano fine ad un estenuante dibattito sul Diritto penale, la pena, la loro funzione, ecc. che in Italia andava avanti da almeno settant'anni senza risultati significativi sul piano della reale difesa della vita e della dignità delle persone detenute. E, cosa ancora più importante, con le loro proteste "i dannati della terra" italiani finivano di essere considerati esclusivamente come "sottoproletariato" ed entravano nei fatti in quell'ampio e variegato conflitto di classe che da anni attraversava il paese e dal quale emergevano richieste di mutamenti radicali in ogni ambito della vita sociale e politica. Questo legame costituì la principale spinta propulsiva che impose la riforma dell'Ordinamento penitenziario del luglio 1975. I detenuti pagarono veramente con il sangue (nel senso letterale del termine) le loro aspirazioni e soltanto grazie al loro sacrificio fu valorizzato anche il decennale impegno di tante intelligenze sinceramente riformiste" (Vittorio Antonini, "Violenza e stupidità del carcere all'origine della riforma del 1975" LIBERAZIONE, 27 luglio 2005).